In queste settimane i media e i politici descrivono una crisi nella quale dovremmo
preoccuparci esclusivamente di rassicurare i mercati finanziari per arrestare finalmente la
ondata speculativa che da questa estate si è abbattuta contro la nostra borsa e i nostri
bot. La ricetta suggerita/imposta dalla BCE è la stessa che da 20 anni suggerivano gli
“esperti” per contrastare l’inflazione, la stessa suggerita per promuovere un “sano”
sviluppo economico, la stessa che ai ceti possidenti piacerebbe venisse adottata in
generale, anche senza nessuna scusa “tecnica”. Si tratta infatti, in estrema sintesi, di
smantellare il welfare, licenziare i pubblici dipendenti “in esubero”, detassare i
redditi da capitale e i patrimoni, liberalizzare il lavoro, le professioni e il commercio,
allungare l’età pensionabile, precarizzare ulteriormente estendendo la libertà di
licenziamento a tutte le ipotesi, moderare le retribuzioni, privatizzare tutto il
privatizzabile, avere uno stato “leggero”, e simili. Ai ceti possidenti piace infatti che lo
sviluppo non venga gravato su di loro, pur se nel contempo non gradiscono nemmeno la
recessione. Piace che il debito pubblico sia basso, purchè l’alternativa non sia gravarne il
peso su di loro. Che il welfare e la spesa pubblica in genere siano le più basse possibili, e
comunque non vengano gravate sui redditi da capitale e sui patrimoni. Che l’inflazione sia
la più bassa possibile, anche se a costo di recessione e disoccupazione. Che la ricchezza
sia distribuita il più sperequatamente possibile e che il peso fiscale sia gravato il meno
progressivamente possibile. Che il costo del lavoro sia il più basso possibile. Che la
politica sia “fedele” ma che il costo a loro carico di questa fedeltà sia contenuto. Questo è
ciò che piace ai ceti possidenti e questo è ciò che dovremmo fare per … “tranquillizzarli”.
Le borse, infatti, registrano solo gli umori dei ceti possidenti per come la speculazione li
amplifica parossisticamente, non quelli del resto della società civile.
Eppure, adottando queste scelte, accade invariabilmente che:
1)la domanda interna si mantiene bassa, frenando corrispondentemente gli investimenti
produttivi e l’occupazione;
2)il cambio dell’euro si mantiene artificialmente alto, penalizzando l’export-import;
3)il prelievo fiscale non copre le pur basse uscite pubbliche, alimentando l’indebitamento;
4)l’inflazione resta bassa a prezzo di recessione, disoccupazione, ingiustizia e degrado
sociale.
Di conseguenza ci dibattiamo senza mai venirne a capo tra inflazione, recessione,
indebitamento e, soprattutto, disoccupazione e degrado.
Ieri è toccata alla Grecia, oggi tocca all’Italia, domani toccherà alla Francia e dopodomani
agli USA, alla Germania e alle socialdemocrazie più ricche.
Scuse ce ne saranno sempre perché la speculazione internazionale possa aggredire
questa o quella borsa minacciando il crack sistemico, ma progredendo su questa strada
provochiamo pesanti effetti recessivi che nel medio periodo peggiorano pesantemente
quel rapporto debito/PIL che oggi alleviamo un pochino nell’immediato, amplificando i
guasti che giustificheranno gli attacchi speculativi futuri, fino al crack sistemico di
dopodomani.
Il vero interrogativo è quindi: si tratta di insipienza dovuta ad una ottica distorta dai
pregiudizi pseudoliberisti (il Pensiero Unico) che non riesce ad opporsi alle istanze
finanziarie di guadagno a breve ad ogni (altrui) costo, oppure si tratta di scelte
lucidamente recessive e ridistributive per fondare in prospettiva il mondo delle grandi
disuguaglianze che è sempre piaciuto ai possidenti e che li allietava fino alla metà
dell’ottocento? O c’è altro ancora?
In ogni caso, la opposizione sociale del 99% della popolazione non può essere solo eticopolitico-
sociale. Deve essere pure tecnica. Deve cioè dare “gambe” ad una riforma del
capitalismo che non lo stravolga al punto di presentarlo come una palingenesi utopica,
rafforzando il pregiudizio che non esista alternativa realistica al mondo in cui viviamo e,
peggio ancora, a quello in cui ci accingiamo a morire.
Serve innanzitutto il ribaltamento teorico dello pseudo-liberismo oggi dominante. Serve
una critica che si spinga sino a negare i suoi fondamenti e fornisca una nuova gestalt,
giustificando tecnicamente il pacchetto di riforme democratiche da apportare alla moneta,
al credito, alla borsa e ai rapporti internazionali per fondare quella economia mista che
sola può garantire equità e sicurezza.
In estrema sintesi, serve infatti:
1)il controllo centralizzato del cambio dell’euro e dei trasferimenti di moneta;
2)la introduzione di vincoli alle delocalizzazioni e di dazi compensativi da welfare ed
ecologia da imporre sulle importazioni delle multinazionali delocalizzate;
3)il blocco della speculazione finanziaria;
4)la riforma del credito e del collocamento dei bot;
5)una riforma tributaria perequatrice;
6)politiche espansive della domanda interna, in regime di inflazione controllata d euro
“vero” .
Per comprendere il significato tecnico di queste proposte e delle riforme che conseguono
al loro accoglimento, si parta dall’esame comparato delle diagnosi prodotte dal Pensiero
Unico e di quelle prodotte dal Pensiero Critico. Poi si confrontino le ricette prodotte da
questi due pensieri. Poi si studi il loro rispettivo fondamento.
.
LE CAUSE DICHIARATE DELLA CRISI
1)eccessivo debito pubblico causato dalla
alta evasione fiscale, dai privilegi della
casta politico-amministrativa e da un
welfare troppo costoso
2)peggioramento del saldo export-import
dovuto a insufficiente competitività
aziendale, a sua volta dovuta a troppi
vincoli al licenziamento, alle insufficienti
liberalizzazioni e ad una insufficiente
moderazione salariale rispetto al resto del
mondo
3)peso eccessivo delle spese pubbliche
gravate sui profitti e sui capitali
4)alta inflazione (quando c’era)
5)abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità e oggi scontiamo la gravosa
eredità della prima repubblica
6)dopo secoli di sfruttamento coloniale in
fondo è giusto che cominci il nostro declino
LE RAGIONI VERE DELLA CRISI
1)peso eccessivo degli interessi bancari
(130 Mld, quelli privati, e 80, quelli pubblici)
e delle rendite in genere, su un PIL netto di
1.590 e una spesa pubblica di 500 (2009)
2)detassazione redditi da capitale (12%) e
patrimoni (zero%)
3)contrazione progressiva retribuzioni e
pensioni (insufficienti rilevazioni ISTAT,
debolezza contrattuale a fronte di
precariato e disoccupazione)
4)effetti pesantemente recessivi delle
manovre deflattive (fino al 2000) e di
risanamento del debito pubblico (dal ’92)
5)deindustrializzazione aziendale
progressiva per delocalizzazione nel terzo
mondo
6)peggioramento saldo export-import a
causa di un euro troppo “forte” e della
concorrenza “sleale” delle multinazionali de
LE RICETTE DI DRAGHI+TRICHET
(BERSANI e SACCONI)
1)licenziabilità libera in cambio di
ammortizzatori sociali;
2)liberalizzazione totale del mercato lavoro,
delle professioni e del commercio, e
privatizzare tutto il privatizzabile (stato
“leggero”)
3)taglio progressivo del welfare e cassa
integrazione per pubblici dipendenti “in
esubero”
4)moderazione salariale e allungamento
della età pensionabile
5)sacrifici per praticare il rimborso
progressivo del nostro eccessivo debito
pubblico
6)riduzione imposte su profitti e capitali, più
aiuti alle imprese
localizzate nel terzo mondo.
7)insufficiente integrazione da parte dei
consumi pubblici e privati parassitari
..
CHE FARE?
1)oggi la BCE presta all’1,1% quanto serve
loro per acquistare sui mercati (speculativi)
al 6% i bot dal Tesoro solo per fare da
intermediarie. Prestiti diretti al Tesoro fanno
risparmiare circa 70 Mld su 80 di interessi
2)tassazione progressiva dei redditi da
capitale(oggi gravati al 12,5%)e dei
patrimoni(zero %)
3)separazione delle casse di risparmio
dalle banche d’affari e passaggio al Tesoro
dei poteri di fissazione dei tassi di interesse
e di controllo sulle banche, oggi di
competenza della BdI spa, il cui 66% è
attualmente detenuto da Intesa e Unicredit
4)lotta agli sprechi della casta
5)Tobin Tax sulle transazioni speculative e
divieto dei derivati speculativi e degli
strumenti più arditi di finanza creativa
6)abolizione precariato, riduzione
progressiva orario lavoro da 8 a 6 ore,
salario minimo garantito contro prestazione
di un contro-lavoro “di solidarietà”,
recupero ISTAT criminalmente non rilevata
(circa 2-3% composto annuo)
7)introduzione ai confini della UE di vincoli
valutari anti-speculazione del tipo di quelli
adottati dai vari paesi preunitari fino agli
anni ’80 o secessione valutaria dei PIIGS
per varare politiche espansive con un
secondo euro “debole”
1)PRESTITI A TASSO AGEVOLATO, DIRETTI DALLA BCE AL TESORO
La BCE presta alle banche all’1,1% gli euro che crea elettronicamente, inclusi quelli che queste
usano poi per comprare i bot, mentre il Tesoro, per acquistare euro sui mercati finanziari, è costretto
a vendere i suoi bot al 6% e passa, per cui le banche collocatarie lucrano ben il 5% per fare
semplicemente da intermediarie tra BCE e Tesoro. Basta il prestito diretto per scavalcare la
mediazione bancaria e ridurre il nostro disavanzo annuo da 80 a 65 Mld.
2)TASSAZIONE PROGRESSIVA DEI REDDITI DA CAPITALE E DEI PATRIMONI
Oggi i redditi da capitale pagano uno scandaloso 12,5% e i patrimoni addirittura lo zero%, mentre i
redditi da lavoro medio-bassi pagano per scaglioni tra il 20 e il 43%. Su un PIL netto di circa 1.590
Mld (2009), le retribuzioni e le pensioni medio-basse incidono per meno di 400 Mld. Detassandole a
scapito dei redditi da capitale e dei super-patrimoni, gli 80 Mld circa di imposte trasferiti provocano
una pari contrazione dei risparmi nazionali, scendendo dagli attuali 350 Mld a circa 270 e provocando
una espansione keynesiana all’incirca quadrupla del PIL, ovvero pari a circa 320 Mld (4 x 80), con
aumento delle entrate tributarie pari a circa il 40% del maggiore PIL, ovvero circa 124 Mld e un
aumento della occupazione pari a circa 4 milioni di nuovi posti di lavoro!
3)CALMIERE SUGLI ALTI INTERESSI BANCARI PAGATI DAI PRIVATI
Oggi, questi interessi ammontano a ben 130 Mld annui e sommati agli 80 degli interessi sui bot fanno
il 13% circa del PIL totale “netto”, più o meno la stessa somma che spendiamo per istruire, curare e
difendere tutti gli italiani! Ogni anno gli investimenti produttivi ammontano a circa 80 Mld, di cui solo
metà effettuati a credito. Ciò significa che ogni anno per le esigenze produttive bastano meno di 40
dei 350 Mld mediamente risparmiati e che pertanto non esiste nessuna fame di capitali e, dunque,
nessuna necessità di iper-remunerarli e detassarli o, ancora, di gravarsi di sacrifici indicibili per
attrarne dall’esterno. Per calmierare gli interessi bancari bisogna prima rompere il cartello bancario
con un polo statale di casse di risparmio e dunque sottrarre alla BdI spa (il cui 66% è oggi detenuto
da Unicredit e Intesa) i poteri di controllo sul sistema bancario, conferendoli al Tesoro.
4)LOTTA ALLA CORRUZIONE CON INTRODUZIONE DI MARCATI ELEMENTI MERITOCRATICI
Gli sprechi della casta politico-amministrativa sono stimati oggi tra 25 e 50 Mld. Dimezzandoli,
risparmieremmo tra 12 e 25 mld l’anno, contenendo corrispondentemente gli effetti recessivi dello
storno di ricchezza dai consumi pubblici a ceti privilegiati che, risparmiando quasi tutto il loro reddito,
lo sottraggono alla riproduzione del circuito capitalistico (il così detto circolo Denaro-Merce-Denaro).
5)TOBIN TAX E NULLITA’ DEI DERIVATI SPECULATIVI
La Tobin Tax, tassando le transazioni finanziarie, fa affluire significative risorse nelle casse statali e
modera i flussi speculativi fino a bloccarli in ragione delle aliquote fiscali fissate. Il divieto dei derivati
speculativi è reso necessario dalla loro estrema incontrollabilità. Al tempo della crisi dei subprime
erano stimati tra $ 650 e 1000 Mld, a fronte di un PIL-mondo di circa $ 40 Mld appena!
6)ABOLIZIONE DEL PRECARIATO, RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO,AMMORTIZZATORI
SOCIALI, RECUPERO ISTAT NON RILEVATA SU RETRIBUZIONI E PENSIONI
10 anni di precariato non hanno affatto giovato alla nostra economia ed è pure evidente che il monte
ore lavorato è più che sufficiente per produrre tutto ciò che consumiamo, per cui non resta che
ripartirlo più equamente. Negli ultimi 20 anni l’ISTAT non ha rilevato ufficialmente circa la metà
dell’inflazione che effettivamente ci affliggeva, contraendo nascostamente il potere d’acquisto di
retribuzioni e pensioni al ritmo del 2-3% annuo, contraendolo ad oggi di oltre il 60%.
7)INVITARE I PIIGS ALLA SECESSIONE VALUTARIA PER CREARE UN’AREA VALUTARIA AD
EURO “VERO” ANZICHE’ ARTIFICIALMENTE “FORTE”.
E’ vano per i PIIGS fare sacrifici pazzeschi per mantenere lo stesso euro “forte” dei paesi leader,
laddove l’euro “forte” penalizza l’export-import allo stesso identico modo di una più alta inflazione
interna a cambio invariato. Inoltre, ogni sacrificio gravato sui consumi popolari pubblici e privati
provoca effetti recessivi all’incirca quadrupli e contrazioni delle entrate tributarie pari a circa 1,6 volte
ogni sacrificio (sacrifici pari a 100 implicano infatti effetti recessivi pari a circa 400 e, poiché circa il
40% del PIL si traduce in imposte, una contrazione di queste pari al 40% di 400, ovvero 160).
Politiche espansive comportano però anche delle spinte inflattive e quindi un euro “debole”, inviso ai
paesi leader e solo una Europa dei PIIGS potrebbe ben svalutare periodicamente il suo euro in
misura pari all’eventuale differenziale di inflazione che residuasse nonostante l’adozione del calmiere
all’ingrosso e di adeguate politiche anti-trust. Per farlo, deve introdurre ai confini della UE-PIIGS gli
stessi controlli valutari e borsistici anti-speculazione e anti-delocalizzazione vigenti più o meno in tutti
i paesi preunitari fino agli anni ’80, nonchè gravare con adeguati dazi compensativi da welfare ed
ecologia le importazioni dalle multinazionali delocalizzate in paesi dove producono sottocosto nel
massimo dispregio della natura e dell’uomo. www.circolodegliscipioni.org