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Tsipras, l’Europa, la democrazia Featured

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Quanto sta accadendo in Grecia è per certi versi un paradigma di tutte le contraddizioni che ci attraversano in questo periodo.

Tsipras torna a dare la parola agli elettori per la terza volta in meno di un anno: a febbraio, negando la possibilità di un accordo con Tsamaras per eleggere il nuovo presidente della repubblica; a luglio proponendo un referendum sulle proposte dei creditori; a settembre per verificare se l’accordo da lui sottoscritto sarà confermato con un nuovo mandato di governo. Nelle due prove sinora sostenute ha sempre vinto; nella terza è assai probabile che vinca ancora. Ma di questo si parlerà in seguito.

Il primo elemento, e basilare, è il ricorso reale alla volontà dei cittadini, ai quali, va sottolineato, sono state e saranno proposte piattaforme dai contenuti assai diversi, quasi in apparente contraddizione. Nelle prime due tornate si chiedeva un mandato per dire no alle richieste dei creditori, nella terza per dire si a richieste ancora più dure e gestirle. Pur nell’apparente contraddizione, ogni volta si chiede ai cittadini di dire la loro e dunque si tenta di riaffermare il primato della democrazia contro gli accordi e le imposizioni dei soggetti finanziari non elettivi. Su questo terreno Tsipras ha già vinto, qualunque sia l’esito delle elezioni, contro l’ostinata determinazione con cui la Merkel e le cosiddette istituzioni finanziarie chiedevano l’azzeramento del programma elettorale e degli esiti del referendum oppure si proponevano semplicemente di cambiare la maggioranza in Grecia. In sostanza di vanificare il processo democratico

Qualcuno, tanti, obietteranno che sul piano dei contenuti hanno vinto la Merkel e le istituzioni finanziarie e che Tsipras, invaghitosi del potere, vuole gestire comunque piattaforme programmatiche contraddittorie. Ma essi non tengono conto della sproporzione delle forze in campo, dei ricatti messi in atto, dell’uso strumentale delle istituzioni europee, della scomparsa del PSE come soggetto politico e parlamentare. I creditori hanno gestito la questione greca nella veste di un soggetto finanziario e bancario e non di uno stato federale. La politica è scomparsa e con essa l’idea di un progetto europeo che non può che essere politico e sociale. Si tratta di una vittoria della forza ricattatoria del potere finanziario, non di una strategia politica. E questo comportamento è ancor più miope se confrontato con lo economico che si sta producendo in Cina con perdite decine di volte più grandi di quelle che sarebbero derivati da una gestione diversa del caso greco.

L’Europa potrebbe uscire distrutta due volte da questi fenomeni diversi e concomitanti. Non solo come soggetto politico, ma anche come soggetto economico, quel soggetto che sta tanto caro alla Merkel & company. Si deve tenere presente, infatti, che la Germania, dominus in Europa, ha impostato la sua strategia di crescita sull’export sia verso gli altri stati europei (a volte i messaggi pubblicitari sono più espliciti di qualsiasi documento ufficiale) sia agganciando la fase espansiva dell’accordo USA-Cina (il suo surplus commerciale verso la Cina è rilevante all’incontrario degli altri paesi europei, 153 MD € contro 79 nel 2014; e lo stesso vale per gli USA). In questo modo si ha un export europeo importante, come se l’Europa fosse una zona fortemente competitiva a livello mondiale mentre ad esportare è un solo paese (si vedano gli studi di Nomisma a tal proposito). E questo paese non utilizza il surplus commerciale (per inciso supera di diversi punti quello pattuito dalla comunità europea e chissà perché di questo parametro nessuno tiene conto) per rilanciare i consumi e dare chances agli altri paesi europei, ma all’incontrario mantiene livelli salariali e di welfare sottodimensionati. Ma questa politica univoca, come sempre in economia, rischia di diventare la causa di problemi gravissimi oggi che la Cina riduce il suo trend di crescita e le sue importazioni; che l’asse USA-Cina che ha governato finanza e produzione mondiale sembra essere in crisi, che il modello cinese di sviluppo rischia di implodere e perdere il consenso interno necessario. Per non parlare degli strani ed ormai frequenti incidenti che accadono alle infrastrutture ed alle aziende cinesi.

Dopo questa, forse, non inutile divagazione, torniamo al tema principale, vale a dire alle scelte di Tsipras ed al ruolo della democrazia. Tutti sappiamo che la causa del ritorno alle urne è dovuta formalmente alla perdita della maggioranza parlamentare per la scissione a sinistra di qualche decina di parlamentari, che hanno finito col creare un nuovo partito, ma politicamente perché verrà richiesto un mandato parlamentare diverso dalla piattaforma presentata alle ultime elezioni. È molto interessante rilevare che il maggiore oppositore agli accordi sul piano teorico l’ex ministro delle finanze Varoufakis non farà parte del nuovo partito ma rimarrà in Syriza, confermando in questo modo che una dialettica formale e sostanziale può essere mantenuta nella stessa organizzazione.

Tsipras dunque presenterà una proposta diversa da quella con cui è stato eletto e, se, come gli attuali sondaggi lasciano prevedere, dovesse ottenere un consenso assai simile se non maggiore di quello conseguito nelle elezioni di febbraio le conseguenze da trarre sono assai interessanti. Tralasciando per l’ovvia inutilità la tesi del trasformismo di Tsipras, resta da spiegare come mai tanta parte dell’elettorato che la volta precedente lo ha votato tornerebbe a farlo su una proposta del tutto diversa. Le spiegazioni psicologiche sul carisma di un leader non sono sufficienti perché si tratta di un leader non vincente. La motivazione più convincente è che i cittadini greci riconoscono a Tsipras di aver combattuto apertamente l’arroganza dei creditori e della Germania, di averlo fatto da solo perché né la Francia del socialista Hollande né l’Italia di Renzi e tanto meno il gruppo parlamentare del PSE (si vedano le incredibili dichiarazione di Shultz a proposito) lo hanno sostenuto. Tsipras ha perso in apparenza; in realtà ha dato dignità alla sinistra ed alla dialettica democratica. Di questo sembra essersi accorto il popolo greco, ma non la sinistra che, per comodità definisco minoritaria, tanto nella stessa Grecia quanto in Italia ed in qualsiasi altro posto. La dignità e per questa via l’esistenza stessa della sinistra come protagonista politico e non come soggetto di testimonianza passa anche attraverso queste maglie strette ed amare del contesto complessivo in cui opera. Rifugiarsi nella certezza che questo mondo non ci piace è una posizione solipsistica e non utile, a meno che non si dica apertamente che non è utile partecipare al gioco elettorale.