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Il nostro centro studi è giunto alla conclusione che per comprendere come si dovrebbe altrimenti operare occorre necessariamente prima spingere l’analisi sino alla revisione critica dei fondamenti fattuali e logico-funzionali del Pensiero Unico. E’ facendolo, infatti, che siamo riusciti a ricostruire puntualmente che esso poggia su una serie incredibile di bugie fattuali e di aporie logico-funzionali, tanto da spiegare in termini quasi caricaturali quanto ebbe a dire confidenzialmente  F.D.Roosvelt, l’allora presidente USA,  a sir Halifax, il plenipotenziario del governo inglese, il 10 Agosto 19412, sul Potomac, 4 mesi prima di Pearl Harbour, durante l’Atlantic Round, ovvero durante la tornata di incontri anglo-americani in cui si discuteva, con gli USA formalmente ancora neutrali, dell’assetto economico-monetario da dare al pianeta una volta sconfitte le potenze dell’Asse.

Quella frase, che inizialmente ci aveva colpiti perché ci era sembrata imperdonabilmente esemplificatrice ed esagerata, col procedere della revisione scientifica l’abbiamo colta invece in tutta la sua pregnanza, comprendendo come fosse in realtà letteralmente vera: l’economia che si insegna nelle università, che viene veicolata dei media e che è stata introiettata un po’ da tutti fino al livello del luogo comune da bar, e che infine è oggi creduta pure dai politici di ogni orientamento, non presenta solo qualche incongruenza logica e imprecisione fattuale, ma è davvero totalmente falsa! Le sue bugie e le sue aporie sono infatti così tante e così tanto gravi e profonde, che il Pensiero economico oggi dominante non può definirsi che così: totalmente falso. Come altrimenti definire un Pensiero che si inganna totalmente sul funzionamento del circuito economico, sulle determinanti degli Investimenti, sull’Export-Import, sull’inflazione, sul cambio, sulla Moneta, sul credito, sulla borsa, sul sistema fiscale e sul debito pubblico?

Limitandoci qui alle principali critiche e giusto per farne una carrellata a mo’ di zapping, dobbiamo infatti almeno rilevare che, contrariamente a quanto afferma il P.U.:

1)l’inflazione è sottostimata ufficialmente del 3% annuo circa da oltre 15 anni, per cui, contrariamente a quanto sostenuto da scienza, media e da quasi tutti i politici, retribuzioni, pensioni, welfare e PIL si sono conseguentemente contratti in termini reali di oltre il 60% rispetto ai livelli pre-Maastricht;

2)l’euro è diventato sempre più “forte”, vanificando la contrazione delle retribuzioni e del peso fiscale del welfare così operato ed impedendo a questa competitività “stracciona” di compensare il rincaro all’estero dei nostri listini in euro;

3)di conseguenza, il saldo Export-Import non è riuscito e non riesce a compensare il calo progressivo della Domanda interna provocato dalle misure di “rigore” praticate bipartisan in ossequio ai principi pseudo-liberisti del Pensiero Unico e la recessione sta facendo corrispondentemente contrarre Investimenti, Occupazione e Reddito, nonchè aumentare il lavoro precario e quello “nero”, a misura che calano i Consumi popolari nazionali pubblici e privati;

4)mentre il costo del lavoro incide per appena il 5-10% sui costi d’impresa, per cui nemmeno lavorando gratis si potrebbe battere la concorrenza “sleale” delle imprese multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo dove producono sottocosto nel massimo dispregio della natura e dell’uomo per poi ri-esportare al nord il 95% della produzione così conseguita, gli oneri finanziari stanno incidendo sempre di più, sfiorando oggi  perfino il 50% nelle imprese medio-piccole;

5)l’euro “forte” penalizza le nostre Esportazioni rispetto alle Importazioni nella stessa identica misura in cui le penalizza una più alta inflazione. Ne consegue che a fronte di una inflazione USA, ad esempio, del 7%, e, nella UE, poniamo, del 3%, basta svalutare l’euro in misura pari al loro differenziale di inflazione, ovvero del 4%, perché rimanga inalterata la competitività relativa dei rispettivi Export-Import.

6)l’inflazione è possibile, nelle fasi espansive, solo espandendo l’Offerta meno di quanto aumenti la Domanda, e, nella fasi recessive (stagflation), solo contraendo l’Offerta più di quando cala la Domanda, il che in entrambi i casi è provocato volontariamente dai trust allo stesso modo di come fa l’ingrosso agroalimentare quando distrugge periodicamente delle derrate per trasferire sui prezzi la tensione esercitata dalla parte di Domanda lasciata volontariamente insoddisfatta, con l’unica differenza che mentre distruggere ciò che la natura ha creato è appariscente, mentre non costruire qualcosa non lo è;

7)il nostro debito è sostanzialmente causato dalla scelta pseudo-liberista di privilegiare fiscalmente i Redditi da Capitale con un prelievo di appena il 12,50%, a fronte di un peso fiscale dal 50% in su gravato sui Redditi da impresa e dal 25 al 45% gravato di media sulle retribuzioni e sulle pensioni medio-basse. A fronte di un PIL nominale intorno a € 1.600 Mld e di entrate pubbliche intorno a 750, il nostro debito pubblico sfiora i 1.800 e gli interessi passivi sul debito pregresso gli 80. Con finanziarie intorno a € 20-30 Mld, dunque, non stiamo affatto rimborsando un bel nulla, ma solo … rallentando la velocità di aumento di un debito pubblico che ormai è assolutamente non rimborsabile, a meno di gravarlo sulla Rendita e sui ceti possidenti;

8)mentre i Risparmi di fine-ciclo sono oggi di media circa il 20% del PIL, gli Investimenti produttivi sono di media appena il 3-5%. Ne consegue che non c’è nessuna “fame” endemica di Capitali, ma piuttosto il loro esubero endemico, il che non giustifica né la loro iper-remunerazione, né la loro detassazione, né alcun sacrificio sociale per attrarne sempre di più dall’esterno e vederli poi rivolgere solo alla speculazione anziché alla produzione;

9)il vero problema del capitalismo, dunque, non è attrarre quanti più Capitali è possibile, ma reperire/creare una Domanda autonoma da sistema distributivo interno di  quantità tale da colmare il gap esistente tra i Risparmi di fine-ciclo e gli Investimenti produttivi effettuati all’inizio del ciclo successivo.

10)Volere reperire questa Domanda “esterna” nel saldo attivo dell’Export-Import vuol dire tentare di Esportare nei paesi “fratelli”, insieme ai propri beni e servizi, pure tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne induce la mancata produzione nazionale che si vuole soppiantare con le proprie Esportazioni. E tagliare sistematicamente i Consumi popolari interni pubblici e privati per farlo, vuol dire contrarre tutti la “torta” comune da dividere tra le varie imprese nazionali nel vano tentativo di appropriarsi di una sua “fetta” maggiore, provocando e alimentando la recessione internazionale. Di conseguenza, tagliare i Consumi popolari interni pubblici e/o privati per conseguire una maggiore competitività “stracciona” ed attrarre Capitali dall’esterno e “pompare” una “bolla” speculativa ha la stessa logica demenziale del segare il ramo su cui si è seduti!

11)quando sale l’indice di borsa o il prezzo al mq del mattone senza che sia corrispondentemente aumentata la ricchezza “reale” che i titoli dovrebbero rappresentare o la qualità degli immobili, non aumenta affatto la ricchezza comune ma si verifica solo una inflazione speculativa dei cespiti che aumenta la Moneta nelle mani dei loro detentori, con cui ora riescono a comprare, senza in realtà pagare, più beni e più lavoro di prima, sottraendo ai ceti produttori una parte maggiore del prodotto sociale da essi soltanto in realtà costruito;

12)la “bolla” speculativa mobiliare consiste nella gigantesca massa di titoli in circolazione che non sono davvero rappresentativi di ricchezza “reale” perché incorporanti solo una scommessa (derivati speculativi, futures, options e simili) o che lo sono solo in minima parte, dei junk bond e dei titoli autoreferenti perché ad esempio agganciati solo ad indici. Per ogni barile fisico di petrolio, ad esempio, si calcola che nel 2009 ne passavano di mano di “virtuali” come derivati speculativi sul petrolio ben 100.000 (1.250 del 2006), laddove più o meno lo stesso accade per altre 17 commdities. La massa complessiva dei derivati speculativi oscilla ormai tra 13 e 20 volte il PIL-mondo (tra $ 650.000 e 1.000.000 Mld, a fronte di circa 50.000);

13)le banche prestano una Moneta creditizia inesistente al momento nelle loro casse ma che viene  creata solo elettronicamente, il che è lecito purchè venga contenuto nei limiti della riserva prudenziale, che, per i colossi bancari USA, integrati sin dal 1913 nel consorzio privato della Federal Reserve, è ormai, di fatto, da 1/1.000 a 1/100.000 i loro patrimoni. E’ così che la Moneta creditizia “virtuale” creata elettronicamente in giro per il mondo potrebbe ormai comprare (senza pagare) più di 5 volte l’intero pianeta, mentre la Moneta cartolare “virtuale” creata speculativamente è addirittura decine di volte tanto;

14)poiché appena il 5-10% dei bot viene realmente venduto nelle aste, il restante 90-95% viene semplicemente “collocato elettronicamente” presso le banche, e, dunque, scambiato con Moneta creditizia che abbiamo appena visto essere “virtuale” anch’essa. Ne consegue che il debito pubblico è una voce in massima parte solo “virtuale” e che, per giunta, quando sono pubbliche le banche collocatarie, diventa una semplice “partita di giro” perché viene a coincidere la figura del debitore (lo stato) con quella del creditore (le banche pubbliche).

15)a Maastricht si è deciso di mantenere le frontiere valutarie dell’euro totalmente aperte a ogni transazione mobiliare, incluse quelle solo speculative, e pure di lasciare le borse senza controlli anti-speculazione (“deregulation borsistica e valutaria”). In tal modo non è possibile una fissazione centralizzata del cambio dell’euro e per impedire rovinose fughe di Capitali ed euro, non possiamo fare altro che sedurre i detentori di Capitali varando solo le politiche a loro gradite. Di qui le insistite manovre deflattive e le privatizzazioni a prezzi sottomultipli di quelli di mercato che hanno distrutto già oltre il 50% della ricchezza esistente negli anni ’80. Senza reintrodurre i controlli anti-speculazione allora vigenti e senza introdurre il calmiere all’ingrosso, non sarà pertanto mai possibile invertire la tendenza e salvare dal degrado indefinito oggi in atto le socialdemocrazie occidentali. Per farlo, però, occorre innanzitutto abbandonare ogni ricetta del Pensiero Unico e operare una vera e propria rivoluzione copernicana in economia. Questo è il compito che ci siamo prefissi e da qui scaturisce il programma che proponiamo nella apposita sezione a lui dedicata.

 

A questo punto, dopo avere dato la scorsa a questo breve elenco di (sconvolgenti) rivelazioni, da un lato dovremmo sentire tutti l’imprescindibile esigenza di verificarne con attenzione la fondatezza, e, quindi, studiare daccapo e con serietà l’economia, e, dall’altro, chiederci sinceramente come possano essere sfuggite simili imperdonabili “sviste” alla scienza ufficiale, agli “esperti” (che però, guarda caso, provengono in genere dal mondo creditizio-finanziario e delle multinazionali finanziarizzate, mai dal mondo del lavoro (lavoratori e imprese medio-piccole),  ai media, alle associazioni di categoria.