La scelta del “referendum” è stata grandiosa: l’Europa non solo non accettava una trattativa seria e dignitosa, ma soprattutto si rifiutava di rispettare il responso delle urne e di prendere in considerazione la possibilità che la Grecia potesse esprimere una posizione autonoma. La Grecia doveva subire il “diktat” dell’Europa. Tsipras ha rifiutato ed ha posto al suo popolo il dubbio: subire o invece difendere caparbiamente la propria democrazia. Ed ha vinto: nonostante ricatti e condizionamenti e gli abbandoni della sinistra moderata, intendendo per questa non solo quella tipologia non inquadrata in nessuna categoria zoologica quale la sinistra di governo italiana, ma anche tutta la socialdemocrazia e tutto il socialismo europeo. La democrazia ha vinto, ma contro chi? Tutti hanno posto la partita come tra democrazia statale e Europa, vera sconfitta: pertanto, sarebbe il nazionalismo ad aver sconfitto l’integrazione europea. Pertanto sarebbe una vittoria non tanto della democrazia quanto del nazionalismo o comunque di una democrazia nazionalista: di qui la strana alleanza tra sinistra radicale di Tsipras e l’estrema destra. Ma non è così, o meglio è così solo in apparenza. E’ la sconfitta dell’Europa ma solo di un Europa che non ha integrato gli Stati, bensì ha favorito la mortificazione di quelli deboli e soprattutto ha consentito la soggezione degli Stati al potere delle Banche d’affari e della grande finanza che hanno non solo determinato la politica economica statale, non solo hanno conquistato gli Stati, ma li hanno asserviti muovendo a piacimento il debito pubblico e spostandolo da una componente sociale ad una finanziaria predominante (illuminante in tal senso la vicenda dell’Italia, che nell’81 aveva il rapporto debito pubblico/PIL al 50% circa, poi fu introdotta la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia al fine di portare il primo sul mercato per finanziare il debito e così lo si è reso schiavo delle grandi banche d’affari, in modo che il rapporto debito pubblico PIL è salito al 140%, con un aumento mostruoso che però non è il dato peggiore: quello peggiore è il suo spostamento dalla componente sociale a quella finanziaria).
Gli Stati sono in ginocchio di fronte alle grandi banche d’affari che ne gestiscono in modo autoritario il debito pubblico e dominano anche le banche locali. Se nei Paesi forti Stato e banche locali riescono a difendersi, sia pure in posizione di debolezza (basti pensare alla Germania con la crisi profonda di Deutsche Bank), in quelli deboli sono in posizione di totale sudditanza. Pertanto, è del tutto fuori luogo la posizione maggioritaria che pretende di condannare la Grecia solo perché è in fortissimo indebitamento, con la conseguenza che il ricorso alla democrazia costituirebbe un modo per sottrarsi ai propri debiti. Al contrario, il ricorso alla democrazia è una reazione all’indebitamento illegittimo, per porre fine al quale occorre fare i conti con le banche internazionali. E’ così: democrazia contro capitale. Non è democrazia nazionalista od anche nazionale perché al contrario è spinta dal popolo e dalle proteste sociali. Certo la sinistra radicale, vista deperire la socialdemocrazia, si è trovata costretta ad allearsi con movimenti populisti (e quindi Tspiras unisce sinistra radicale e populismo di sinistra) ed addirittura con la destra nazionalista. E’ evidentemente comprensibile perché in Italia per Tsipras si siano espressi movimenti di destra nazionalista ed addirittura settori moderati “sviluppisti”. Mentre il “Manifesto” (insieme ad altri, tra cui Bertinotti) non riesce a trattenere la propria gioia per il tracollo della socialdemocrazia e per il suo tradimento. Chi scrive è invece per ciò preoccupatissimo. Vede l’avanzare del populismo che per la sinistra ha avuto effetti catastrofici, tra cui la realizzazione della rivoluzione russa in chiave oppressiva ed anticlassista (operai+contadini+soldati, il che non era peraltro disprezzabile, in quanto impedì che i soldati si schierassero a destra come invece in Italia e Germania), ma snaturò la sinistra stessa. Il rischio vi è ed è forte, così come è forte il rischio del nazionalismo, come dimostrato dalla minaccia operata da Tsipras di entrare nell’orbita russa, il che riporterebbe il mondo ai due imperi. Ma quello che è chiaro è che Tsipras ha finalmente realizzato la vittoria della democrazia contro il capitale: è la prima tappa e ve ne saranno altre incerte, in quanto il blocco dominante non accetta la sconfitta, ma la vittoria è netta e clamorosa.
Non si può annullare l’esito del “referendum” come vorrebbe il blocco dominante, in quanto ciò renderebbe palmare l’avvio di un cammino verso una vera e propria dittatura. Certo lo scenario è non chiaro ma la crisi della socialdemocrazia è un fatto inconfutabile e senza rimedio, almeno nell’ottica in cui questa si è finora espressa, ed altrettanto inconfutabile è che il ricorso alla democrazia da parte di Tsipras mantiene alta la fiaccola di una possibilità riformistica e di governo antiliberista con capacità di direzione delle forze estreme. Certamente, è solo una possibilità, ma ben forte, ed inarrestabile visto il ricorso alla democrazia. Poi si potrà ridiscutere sul ruolo fondamentale della democrazia e del perché proprio in Grecia ciò sia avvenuto con una ripresa del classicismo, ma altro dato inconfutabile è che la democrazia è incompatibile con il capitalismo e che per sorreggerla veramente occorre soggiogare il capitale. Un riformismo forte non contempla una svolta rivoluzionaria a breve, ma il processo a lungo viene ad essere innescato irreversibilmente.