La crisi del 2008 è la più grave della finanza di tutti i tempi: in essa, in America, il crollo delle banche creditizie immobiliari, a causa di mutui conferiti per importo almeno pari al valore degli immobili a garanzia e così caratterizzati da inadempimenti di massa, ha avuto effetti esplosivi per l’essere i mutui in questione oggetto di operazioni di cartolarizzazione dissennate collegate a strumenti derivati –la forma più speculativa della finanza-, che pertanto hanno reso la crisi stessa quale abnorme crisi di sistema. La crisi è stata ripianata con un intervento pubblico imponente, ma non si è fornita importanza adeguata alla circostanza che i derivati erano immessi nel mercato per importi di gran lunga superiori –nell’ordine di svariati multipli- al PIL mondiale e che pertanto erano ingestibili. Un intervento organico sui derivati non è mai stato prospettato e pertanto esce esaltata la centralità della finanza speculativa. Nel contempo, il settore immobiliare è caduto in crisi irreversibile per le vicende americane ed il settore industriale è entrato in difficoltà ed in ristagno anche per la riduzione delle risorse a proprio favore a causa sia dei costi sopportati per il risanamento del settore finanziario sia della centralità della finanza speculativa, il che ha inciso in termini pesantemente negativi sull’attività bancaria creditizia, esposta pesantemente in entrambi i rami. Pertanto, vi è stato lo spostamento di centralità dall’attività creditizia a quella speculativa, con lesione della stabilità della finanza e con sacrificio dell’economia reale e dei conti degli Stati sovrani deboli. Le banche piccole e medie non si possono permettere la finanza in titoli e speculativa, e così la crisi è diventata esplosiva. Il trionfo del capitale finanziario ha comportato la crisi dell’attività creditizia, vale a dire di una componente dello stesso capitale finanziario, e dell’economia reale. Il venir meno della stabilità del settore finanziario, oltre che dell’economia reale, si è realizzata proprio investendo la stabilità del settore bancario, che non solo era fuori discussione, ma anche assicurata da pregnanti controlli pubblici. L’attribuzione della responsabilità alle Autorità di Vigilanza è certamente riduttivo, in quanto la vera causa è da individuare in fattori al di sopra della loro sfera di controllo. Alle stesse può essere imputato la mancata denunzia di tali fattori, ma è ovvio che si tratta di situazione negativa di sistema. Il punto vero consiste nel passaggio dalla stabilità alla speculazione come sistema e non più come tendenza. La ricostruzione di tale passaggio richiede l’esame dell’evoluzione della finanza –incentrata sulla speculazione pura ed addirittura in grado di costruire intorno ad essa tutto un complesso di affari ed operazioni e quindi un intero sistema imprenditoriale- da un punto di vista profondamente innovativo, quello dell’abbandono della stabilità in quanto di ostacolo alla massimizzazione del capitale. La massimizzazione dell’accumulazione del capitale in mancanza di stabilità e solidità del sistema è l’elemento che mette a fuoco l’essenza avventurosa ed irresponsabile del sistema. Ma in questa sede si esaminerà tale aspetto solo dal punto di vista del settore finanziario e non di quello dell’economia in generale. Occorre così incentrarsi sulla divaricazione tra finanza e banca di crediti, ora esaltata dai tassi di interesse negativi. La prima non solo è riuscita a non stare confinata ai margini, come nella fase del capitale industriale e nemmeno solo a diventare predominante, come nella prima fase del capitale industriale, ma addirittura si è resa del tutto autonoma ed indipendente dalla banca dei crediti, rendendo quest’ultima addirittura marginale. La finanza pura, lungi dall’essere un elemento di stabilità, è diventato uno di destabilizzazione. Tale divaricazione è così l’elemento centrale del capitale finanziario, giunto alla propria maturità. Ebbene, la crisi della finanza è irreversibile, proprio in quanto il capitale finanziario richiede necessariamente la svalutazione dell’attività creditizia. La ricostruzione del passaggio -e delle sue singole fasi- dalla stabilità alla speculazione come sistema, nel mostrare come si è arrivati alla fase matura del capitale, rivela anche l’essenza di questi: l’analisi storica mostra anche le prospettive. Ed infatti, nel far emergere l’anacronismo dei correttivi moderati proposti in via generalizzata –lievi aggiustamenti al capitale finanziario- o addirittura del ritorno al capitale industriale, indica anche la direzione in cui intraprendere il superamento del capitale finanziario: preso atto –sulla base dell’analisi storica- dell’irreversibilità del dominio dell’economia reale da parte della finanza, si tratta di porre questa sotto la direzione di altro elemento, dotato di propensione alla stabilità ed autonomo rispetto all’economia reale. Tale elemento non può che essere la politica, vale a dire la politica economica incentrata sulla programmazione pubblica. Le tappe graduali del superamento sono quelle in grado di riportare, pian piano, la stabilità nella finanza in virtù dell’introduzione di una logica da un lato estranea e dall’altro in grado di rendersi autonoma per impedirle di esplicare la sua anima rovinosa. E’ un riformismo critico non moderato e non rinunciatario la cui forza deriva proprio dalla capacità di basarsi sugli elementi materiali e strutturali. E solo la Storia può mostrarci ciò in modo univoco. La ricerca qui indicata costituisce un’applicazione concreta del materialismo storico proprio alla (Storia della) finanza, vale a dire al (la Storia del) cuore del capitale.
Il settore bancario italiano è stato fino alla crisi finanziaria del 2008 uno dei più solidi del mondo, caratterizzato da grande stabilità e senza alcuna perdita nei rapporti bancari da parte dei risparmiatori non azionisti. La grande stabilità era assicurata dalla mano pubblica delle banche più grandi ed importanti, nonché dalla prevalenza assoluta dall’attività creditizia e dalla natura marginale dell’attività di investimento in titoli, esercitabile da soggetti dello stesso gruppo della banca di deposito e di crediti ma separati da questi. Il settore bancario, così configurato, ha finanziato e sostenuto lo sviluppo economico e l’economia intera. La liberalizzazione che ha investito tutta l’economia italiana non ha risparmiato il settore bancario, con le privatizzazioni anche delle banche pubbliche e con l’equiparazione a pieno titolo dell’attività di investimento in titoli a quella di deposito e creditizia. In pratica, l’impresa bancaria è stata equiparata a qualsivoglia impresa privata, dedita alla massimizzazione del profitto, trascurando la prudenza necessaria e, a monte, la peculiarità della prima non riconducibile alla seconda alla luce della circostanza che i suoi debiti sono mezzi di pagamento, in modo che ogni difficoltà del settore mette in ginocchio l’intera economia. Questa è stata la prima svolta: il settore bancario ha abbandonato la prudenza esponendosi a gravi rischi, anomali per esso. La situazione è rimasta sotto controllo, in quanto l’attività creditizia ha continuato ad essere redditizia, e l’attività speculativa in titoli in Italia non è diventata preponderante ed in ogni caso i suoi rischi sono stati traslati sugli utenti a causa di una normativa nel complesso protezionistica: comportamenti anomali delle banche nell’attività in titoli (casi Cirio, Parmalat, Argentina) hanno rappresentato un campanello d’allarme, ma nel complesso dalla portata non generalizzata. Banca d’Italia ha continuato ad assolvere ad una funzione efficace di controllo dei rischi sistemici e complessivi, anche se vi è stato pure qui il suonare fragoroso di un campanello d’allarme con comportamenti anomali del Governatore Fazio nelle vicende AntonVeneta e BNL, dove intenti protezionistici meritori sono sfociati in eccessi ingiustificati. La seconda svolta è stata la crisi del 2008, la più grave della finanza di tutti i tempi in cui, in America, il crollo delle banche creditizie immobiliari, a causa di mutui conferiti per importo pari al valore degli immobili a garanzia e così caratterizzati da inadempimenti di massa, ha avuto effetti esplosivi per l’essere i mutui oggetto di operazioni di cartolarizzazione dissennate collegate a strumenti derivati –la forma più speculativa della finanza-, che pertanto hanno portato ad una abnorme crisi di sistema. La crisi è stata ripianata con un intervento pubblico imponente, ma non si è fornita importanza adeguata alla circostanza che i derivati erano immessi nel mercato per importi di gran lunga superiori –nell’ordine di svariati multipli- al PIL mondiale e che pertanto erano ingestibili. Un intervento organico sui derivati non è mai stato prospettato e pertanto esce esaltata la centralità della finanza speculativa, che ha vessato e distrutto utenti, enti locali e altre banche (caso emblematico Monte dei Paschi) ed ha messo in ginocchio anche Stati sovrani deboli (Italia e soprattutto Grecia). Nel contempo, il settore immobiliare è caduto in crisi irreversibile per le vicende americane ed il settore industriale è entrato in difficoltà ed in ristagno anche per la riduzione delle risorse a proprio favore a causa sia dei costi sopportati per il risanamento del settore finanziario sia della centralità della finanza speculativa, il che ha inciso in termini pesantemente negativi sull’attività bancaria creditizia, esposta pesantemente in entrambi i rami. Pertanto, vi è stato lo spostamento di centralità dall’attività creditizia a quella speculativa, con lesione della stabilità della finanza e con sacrificio dell’economia reale e dei conti degli Stati sovrani deboli. Le banche piccole e medie non si possono permettere la finanza in titoli e speculativa, e così la crisi è diventata esplosiva. I margini di salvataggio si sono ristretti e Banca d’Italia ha visto fortemente ridotta l’efficacia della propria vigilanza alla luce della perdita dei poteri monetari a favore della BCE e del ridimensionamento di quelli di vigilanza a favore sempre della BCE. Come terza svolta, il colpo di grazia è stato inferto dall’Europa che, con la demenziale normativa “bail-in” e con la relativa fortissima limitazione dei salvataggi pubblici delle banche, ha fatto saltare 4 banche di città di provincia del centro-sud, a danno per la prima volta dei risparmiatori non azionisti nei rapporti bancari, il che ha provocato una crisi di fiducia ed una fuga di liquidità che hanno messo definitivamente in ginocchio il settore bancario. La crisi delle banche è diventata europea, in modo che si è tornati indietro sugli sciagurati passi della normativa “bail-in, per favorire il salvataggio delle banche dei Paesi forti ed adesso anche con il contributo dei Paesi deboli, i quali hanno pertanto dovuto subire il tracollo delle proprie banche e l’ingresso delle banche estere come padrone. In tal modo, con tre grandi svolte, si è consumato il passaggio da un’economia banco-centrica con un settore bancario solidissimo ed in grado di sostenere con successo l’intera economia reale al tracollo del settore bancario che ha aggravato la debolezza dell’economia reale. La ragione va ricercata nel liberismo che ha portato non a maggiore dinamismo del settore ma al trionfo illimitato della speculazione più selvaggia, rispetto a cui la tradizionale vigilanza di stabilità e protezionistica si rivela inerme, ed ha portato anche non al vantaggio ma al danno dell’economia reale. Il liberismo e la globalizzazione nonché l’integrazione europea hanno disintegrato lo Stato italiano, che non è stato in grado di tutelare le proprie banche, la cui crisi lo ha indebolito ulteriormente. Crisi delle banche e crisi dello Stato viaggiano insieme, “simul stabunt, simul cadunt”. La lettura della crisi delle banche è univoca, così come la via di uscita è altrettanto univoca: ma nessun passo si fa in questa direzione, continuando a restare in un circolo vizioso, come un drogato estremo che si cura iniettando dosi massicce della droga più pericolosa. Poiché insieme alla crisi bancaria ed alla crisi dello Stato viaggia anche la crisi dell’economia, senza però indebolire il capitale, di converso rafforzato, è ovvio che ci si trova di fronte ad una trasformazione grandiosa del capitalismo. L’analisi del passaggio in esame, qui condotta, vuole contribuire ad una ricostruzione di tale trasformazione dall’angolo visuale di un Paese marginale, mentre in altra sede si affronterà il fenomeno da un punto di vista globale. La visione marxista, unica in grado di comprendere la problematica, necessita peraltro di una profonda rivisitazione, nel momento in cui il profitto ha natura prevalente non più industriale –e nemmeno più commerciale-, ma finanziaria.