La FCA (ex Fiat) assume alla grande a Melfi, investe in Italia, ed ora lancia un programma di “bonus” ai dipendenti legati ai risultati. Da qui la conclusione: la Fiat si è ripresa grazie alla cura Marchionne, cura non solo finanziaria come ritenuto dai detrattori (tra cui, è bene evidenziare, lo scrivente), ma anche industriale, e ora i risultati per il Paese si vedono eccome, con vantaggi a favore dei dipendenti. Il bene dell’impresa è il bene dei lavoratori, ed ogni tutela di questi se non si pone al centro ed in prima fila l’impresa stessa è illusoria. E’ ovvio che si tratta di una conclusione parziale e con numerosi elementi di palese inattendibilità, ma, ciò nonostante, non può essere trascurata con tranquillità, ed è quindi bene partire dai dati di fatto. La Fiat ha da sempre beneficiato di grandi aiuti pubblici, e recentemente ha disatteso gli impegni assunti con il piano industriale che ottenne il consenso al “referendum” dei lavoratori, ed ha addirittura de-localizzato la propria struttura societaria e fiscale a Londra ed Amsterdam. E’ così uscita dalla crisi, anche grazie ad un importante accordo con la Crysler, e di qui il cambio di nome in FCA, ma nel pacchetto dell’uscita dalla crisi vi è la lesione delle ragioni dei lavoratori, con discriminazioni odiose ai danni degli iscritti Fiom, “colpevoli” di dissenso nei confronti della Società e di forme di contestazione sindacale, e tali forme di discriminazione sono state giudicate illegali dalla magistratura, addirittura con pronunciamento della Corte Costituzionale a favore della Fiom.
Ora la FCA riparte e vi sono positive ricadute produttive ed occupazionali. Ma ciò giustifica la lesione dei diritti dei lavoratori? Ed è un beneficio tale da legittimare la delocalizzazione e a monte il mancato rispetto degli impegni? La risposta alla prima domanda è ovviamente negativa, ma in un momento di crisi colossale come quella attuale corre il rischio di rientrare in una logica minoritaria. Difendere i diritti è sacrosanto, e Landini ha ragione, e l’avrà per tutta la vita, contro Marchionne, ed anche contro Renzi, e quando Renzi dà ragione a Marchionne, evidenziando la sconfitta di Landini, impartisce un preciso segno di degrado. Ma aver ragione non toglie che si è minoritari se non si affronta la seconda, vale a dire se non si propone una politica economica alternativa. Il vero problema è che i comportamenti imprenditoriali scorretti di mancato rispetto dei piani e di delocalizzazione non trovano un oppositore efficace e così occorre prendersi “i resti”, anche sostanziosi, che Marchionne ci propina. La mancanza di un oppositore efficace dipende dall’incapacità di elaborare un’alternativa produttiva in quanto mancano le condizioni per incidere sull’impresa e spingerla ad investimenti produttivi secondo un’ottica corretta. Occorre così accontentarsi di quello che offre l’impresa, anche se palesemente scorretta, ed andare a ruota di questa. In tale ottica, e solo in tale ottica, Marchionne aveva ragione e Landini torto.
In tale ottica, e solo in tale ottica, il progetto politico di cui Landini sta ponendo le basi, non è in grado di diventare alternativa di governo. Ma ciò solo in tale ottica e solo se non si riesce a cambiare –“rectius”, rovesciare- l’ottica, vale a dire se non si è in grado di proporre un’alternativa di governo in grado di condizionare gli investimenti e i mercati, antiliberista e non estremista. Ci sono tutti i presupposti, tranne uno, la suscettibilità delle imprese di essere controllate: tale presupposto è insussistente, in quanto le imprese si sottraggono ad ogni controllo e limite, anche se di mera correttezza e razionalità. Ma come non si fa a rendere conto che tale incredibile situazione non è compatibile con la democrazia costituzionale? Come si fa a non capire che la vittoria di Marchionne è la sconfitta, non solo della sinistra, ma con esse della democrazia e del diritto e della civiltà? E come non si riesce a comprendere che se Landini non riesce a integrare il suo progetto e questi fallisce non vi è alternativa in Italia alla barbarie che Marchionne con la sua grande vittoria, esaltata dal suo grande ammiratore Renzi, ci ha propinato, anzi imposto? Landini nega la vittoria di Marchionne e sbaglia profondamente, ed è tipico della sinistra rimuovere la sconfitta, ma non si può accettare quest’ultima, dovendo invece rivendicare il merito della grande battaglia persa e individuare i modi per condurla in modo vittorioso domani “Gli sconfitti di ieri saranno mai i vincitori di domani” è questa la grande domanda da porsi, parafrasando quello che diceva poco prima di morire tragicamente, Karl Liebneckt, massacrato a Berlina nel gennaio 1919 insieme a Rosa Luxemburg. Tra autocompiacimento e rinunzia con sottomissione vi è una grande soluzione alternativa a ciascuna di esse, grande alternativa che rappresenta la nostra “mission”.