Il nodo principale di politica economica è rappresentato dal debito pubblico.
Non solo perché un alto livello di debito pubblico rende del tutto impossibile già in radice ogni spazio di manovra, ma anche perché è determinato dal capitale finanziario delle grandi banche d’affari internazionali che gestiscono le aste del debito pubblico -dopo la scellerata separazione tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro decisa nel 1981 da Andreatta e Ciampi--.
Il capitale finanziario non solo è protagonista di grandi illeciti a danno dei privati di qualsiasi tipo, anche altre banche ed a danno degli enti pubblici e dello Stato, con abnormi operazioni speculative, tra cui spiccano i derivati-il tutto come mostrato in miei scritti sull’argomento-, ma anche dominano la politica economica degli Stati oramai privi di qualsivoglia autonomia, nemmeno quella relativa di cui si discettava negli anni ’70.
Ovviamente, il controllo del debito di cui si è appena parlato si colloca non in un’ottica liberista e di austerità, ma all’esatto contrario in una programmazione pubblica vincolante e di natura sociale.
Il capitale finanziario che determina in esclusiva la politica economica degli Stati e domina i mercati, privi di qualsivoglia ruolo nell’allocazione delle risorse, pone peraltro le basi per un passaggio da un sistema di pianificazione privatistica ed arbitraria ad una pubblicistica e razionale, e non unilaterale ma con la partecipazione delle varie componenti sociali.
Per concludere, in ambito marxista, anche da parte degli interpreti più acuti e raffinati si registrano resistenze ad accettare la nuova categoria del capitale finanziario quale propria di una nuova fase del capitalismo, totalmente innovativa, in cui la componente produttiva è del tutto marginale e secondaria.
Per amore di chiarezza, la componente produttiva non ha mai avuto quel ruolo preponderante che Marx gli attribuì nel I Libro del “Capitale”, dove evidenziò che le merci si scambiano a valori uguali salvo che nello scambio con la merce lavoro. Lo scambio a valori diseguali ha sempre caratterizzato il capitalismo la cui componente mercantile non è mai stata inglobata in quella produttiva (nella nota polemica, aveva quindi ragione Sweezy nei confronti di Dobb). Ma ora quella finanziaria, che ha inglobato totalmente le altre, privandole di autonomia, porta ad una nuova fase in cui addirittura la merce si dissolve, visto che nelle transazioni finanziarie si arriva allo scambio di capitale contro capitale. E’ un sistema in cui vi è una sola componente, il Capitale, unico fattore dotato di legittimità che stritola ed annienta gli altri, con una concentrazione di ricchezze senza precedenti e a monte con creazione di ricchezza che non si realizza “ex novo” ma distruggendo altra ricchezza.
Non è finita la lotta di classe, ma semplicemente una classe ha sgominato le altre.
Proprio per questa ragione, nella divaricazione tra efficienza -nulla- e forza -massima- del sistema, non solo si formano le basi per una nuova conflittualità di classe che deve essere elaborata con la profonda innovazione richiesta dalla realtà sottostante, ma anche si individuano gli elementi per mostrare l’assurdità di una pianificazione privatistica ed arbitraria, da cui dialetticamente si deve passare gradualmente ad una programmazione pubblica imperativa, democratica e con la partecipazione dei vari soggetti sociali in funzione della loro meritevolezza ed in via proporzionale rispetto a quest’ultima. La globalizzazione non è di ostacolo in quanto è solo un’appendice del capitale finanziario. E’ contro questi che ci si deve battere in un’ottica, al momento, riformista.