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LE RISERVE AUREE DI BANKITALIA Featured

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Claudio Borghi, economista leghista e populista di destra, nel momento in cui ha proposto la nazionalizzazione delle risorse auree di Bankitalia, non ha immaginato nemmeno per un momento che la sua proposta si collocasse nell’alveo del marxismo rivoluzionari: ed infatti, al momento della Comune di Parigi, Marx ha imputato alla stessa di non aver espropriato le riserve della Banca di Francia. Non è di rilievo, se non come aspetto di folclore, che il populismo di destra ricorra a strumenti propri dell’armamentario dell’estrema sinistra. Certamente, è un aspetto che fa riflettere sulla commistione di piani tra schieramenti e contenuti: ma non deve indurre alla conclusione dell’interscambiabilità di progetti. Conclusioni sul risvolto politico della questione saranno tratte alla fine. Ebbene, la riserva aurea appartiene alla Banca Centrale interna, che è un ente pubblico, il cui capitale, in termini minoritari quantitativamente rilevanti, appartiene a banche private. Questo è un retaggio storico, visto che apparteneva in origine a banche allora pubbliche, poi finite nel vortice della privatizzazione. Pertanto, la sottrazione alle banche private del capitale -che era il progetto originario da Tremonti in poi-, od anche solo delle riserve auree che costituiscono parte di rilevo del sottostante, potrebbe essere realizzata solo con un’espropriazione che, ai sensi dell’art. 43 od anche 42 della Costituzione (rispettivamente espropriazione di imprese o di beni), richiede un indennizzo, il che per essere equo -come da norma costituzionale- diventa di importo enorme. Pertanto, si parla di un progetto insussistente, a meno che non si voglia violare la Costituzione od individuare una forma di penalizzazione a mo’ di esempio, in un’ottica spettacolare e non effettiva. Ma non solo: la sottrazione delle riserve auree alla Banca d’Italia, con il loro passaggio diretto allo Stato, priverebbe la Banca d’Italia di uno strumento di garanzia di stabilità e di tenuta dei conti pubblici fondamentale. Lo Stato resterebbe proprietario di beni già di sua titolarità, ma senza la mediazione dell’Ente che è il più -se non addirittura l’unico- legittimato a detenerle ed a utilizzarle per gli scopi istituzionali cui sono dedite. Un intervento diretto dello Stato non rientra nei canoni propri della destra estrema e nazionalista, se non in un’ottica di penalizzazione e di incisione sull’autonomia di Banca d’Italia. La destra populista sta sferrando un attacco del genere in tutti i Paesi -basti vedere Trump con la FED-, ed è un attacco irresponsabile. Occorre vedere la problematica da sinistra, quella vera, che non comprende il PD, il quale non a caso aveva sferrato attacco vergogno a Banca d’Italia un anno fa. Vista da sinistra, anche di natura radicale, rispetto a Marx viene meno l’esigenza di un’acquisizione diretta che allora voleva dire presa del possesso di un elemento fondamentale del potere. La presa in possesso di un elemento costitutivo del potere non è più decisiva, in quanto il potere si dematerializza e si delocalizza. Il captale finanziario si estrinseca nella sostituzione all’industria, e così alla produzione ed alla struttura che essa denota, di una realtà evanescente e sfuggente. Ma un approccio da sinistra, anche radicale, alla problematica, non diventa solo per questo, irrilevante: Il vero punto è che la garanzia fondamentale che esse apportano all’economia ed ai conti dello Stato ed alla stabilità dell’economia, garanzia che può essere soddisfatta solo dalla loro detenzione da parte di Banca d’Italia, venga inserita in una logica non più meramente privatistica e di mercato, ma in una di economia di pubblico interesse. La separazione tra Banca d’Italia e Tesoro e la privatizzazione delle banche pubbliche furono due misure sciagurate, che resero sia l’attività bancaria un’attività meramente e solo imprenditoriale, mentre l’imprenditorialità, certamente necessaria ed anzi imprescindibile, non è esaustiva, sia i controlli di Banca d’Italia legati ad una logica autoreferenziale del settore bancario e dei profili finanziari e monetari. Ora occorre recuperare tutto con una programmazione pubblica di cui Banca d’Italia sia la garanzia di stabilità monetaria e finanziaria, con autonomia e quindi senza una logica di strumentalità, ma in un’ottica di armonico collegamento con l’economia intesa in senso globale, ed al di fuori di una visione che sia solo privatistica ed imprenditoriale. Le riserve auree sono un bene pubblico fondamentale: che ne possano beneficiare anche soggetti privati come le banche in quanto diventate legittime titolari di una parte del capitale di Banca d’Italia è inevitabile, e che lo Stato le detenga esclusivamente per il tramite di quest’ultima è altrettanto inevitabile, ma che ciò avvenga senza una considerazione di una visione generale dell’economia, che sia diretta non da forze imprenditoriali irresponsabili e rovinose, ma da una programmazione pubblica che metta le briglie a tali forze imprenditoriali, almeno al momento irrinunziabili, è assolutamente inaccettabile.