Il caso Carige è emblematico e devastante allo stesso tempo: è l’ennesima crisi bancaria, con un commissariamento avviato di fronte ad una situazione di tentativo di risanamento dopo i disastri della vecchia gestione (Berneschi ed associati) ed approvato da Banca d’Italia: con il socio di maggioranza che si è rifiutato di sottoscrivere l’aumento di capitale. Banca ad’Italia ha quindi doverosamente disposto il commissariamento (con commissari individuati nei due precedenti personaggi di vertice ed in un illustre giurista). Malacalza ha poi cambiato il passo ma intanto il grande disastro era già combinato.
Dal 2015, anno della risoluzione delle quattro banche, non si è riusciti ad effettuare un solo salvataggio normale, riuscendo ad operare solo in via straordinaria ed estemporanea.
Il risanamento delle banche è impossibile, almeno nelle condizioni attuali: è questa l’amara verità.
Allora, va in tali termini condotto il dibattito che è sorto ora in Italia sulla crisi delle banche: vale a dire che il dibattito deve essere collocato in un ambito completamente nuovo e diverso.
Si parta dal dibattito attuale: c’è chi sul “Fatto Quotidiano” lamenta la mancanza di regia, ed è una lamentela surreale, visto che il suo ruolo è stato ridimensionato sia in relazione alla BCE sia in relazione alla normativa “bail-in” che ha impedito il salvataggio delle banche del 2015, minando la credibilità del sistema bancario, sia infine con la crisi profonda delle banche di deposito.
Ci si è ribellati a Banca d’Italia e così la “moral suasion” di questa si è dimostrata velleitaria. Ecco il caso Malacalza, che sarebbe stato inconcepibile nel passato.
In tanto hanno, nel passato, lamentato lo strapotere di Banca d’Italia: eccoli accontentati, ma non si comprende ora di cosa ci si lamenti.
Sono le classiche lacrime da coccodrillo: anzi, viene in mente il grandissimo, e mai abbastanza compianto, Fabrizio “Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio”.
Problema diverso era ed è quello di aprire i controlli di Banca d’Italia a profili diversi ulteriori rispetto a quelli di stabilità, come la correttezza ed il divieto di abusi.
In generale, limiti ascrivibili a Banca d’Italia ci sono stati sì ma dipendenti soprattutto dal mutato contesto storico e dall’incapacità della politica di agire e di intervenire efficacemente in materia. L’eccesso di timidezza di Banca d’Italia, certamente sussistente, va letto esclusivamente in tale contesto. Tentativi di coinvolgimento di Banca d’Italia e di suoi massimi esponenti in scandali e dissesti bancari sono miseramente naufragati: fa eccezione l’episodio del 2005 dei c.d. “furbetti del quartierino” e di eccesso di supporto alla Banca Popolare di Lodi, che si è risolto con le dimissioni dell’allora Governatore Fazio e con la sua condanna penale (evitata nel caso parallelo di Unipol-Bnl), eccesso che sconfinò nella partigianeria non per deviazione della persona e dell’Istituto ma per una mala intesa logica protezionistica di mercato interno: si è trattato di comportamento che ha gravemente leso l’immagine dell’Istituto, ma non è stato un comportamento soggettivamente illecito: è stato piuttosto un mero effetto della situazione di disorientamento generale del settore bancario.
Sul versante opposto, si è sostenuto da parte di Angelo De Mattia che Banca d’Italia non può essere il canale dirigistico quale quello a suo tempo individuato nella visione della sinistra degli anni 60-70
Ebbene, la posizione di De Mattia è scarsamente comprensibile, prima ancora che del tutto non condivisibile, anche tenendo conto che lo stesso De Mattia, all’epoca della vicenda dei “furbetti del quartierino” braccio destro di Fazio, lo difese a spada tratta e continua così ancora oggi.
La regia è necessaria, in quanto l’instabilità tipica dei mercati finanziari diventa esplosiva con il dilagare della speculazione e con la crisi delle banche di deposito: senza una regia dotata di poteri coercitivi, le crisi non possono essere risolte.
Pertanto il vero nodo è quello di ricostituire l’effettività dei poteri coercitivi di Banca d’Italia e di effettuare tale ricostituzione anche in ottica di direzione del settore.
Occorre ricostruire la problematica procedendo per gradi.
Il primo punto fermo è la necessità dei salvataggi che una normativa -in recepimento di direttiva europea attuata solo con l’Italia e con la Grecia!!!!- demenziale (c.d. “bail-in”) ha reso sempre più difficili da praticare.
Il secondo punto è che, per evitare che i salvataggi rendano conveniente la realizzazione di comportamenti temerari e dissennati, alla luce della convinzione ragionevole di poter trovare un rimedio, occorre il massimo rigore nei confronti dei responsabili del dissesto e dei beneficiari delle operazioni dissennate.
Il terzo punto fermo è che la sanzione degli abusi dei gruppi di comando non è sufficiente vista la grande crisi delle imprese industriali, con la conseguenza precipua che la mancanza di patologie nell’esercizio dell’attività non è più sufficiente per il rilancio dell’attività di deposito. E’ quindi necessaria una programmazione pubblica che limiti in modo stringente e pervasivo la speculazione spingendo le banche a rafforzare il settore di erogazione, ed anche quello dei servizi di investimento non speculativi, e poi coordini tra di loro il settore bancario e quello industriale per evitare conflitti, i quali, nell’esorbitare da una fisiologica contrapposizione di interesse quale quella propria dei rapporti contrattuali di scambio, impediscono sia una leale collaborazione per il recupero dei crediti da parte della banca, anche con interventi di garanzia sempre più estesi e non limitati ai componenti del gruppo di comando, sia che le banche provvedano al risanamento delle imprese invece di vessarle in un’ottica di dominio speculativo.
E’ necessario, in conclusione, ricorrere ad un regista, individuato in Banca d’Italia, con il rafforzamento dei controlli di correttezza di Consob, e deve trattarsi di regia propria di un collegamento tra controlli bancari e programmazione pubblica economica, come osteggiato da De Mattia, Ma ciò senza cadere in un dirigismo velleitario, bensì individuando nella programmazione coercitiva la condizione per salvare il settore bancario, con una politica economica pubblica unica in grado di contrastare le tendenze distruttive del grande capitale.
E’ questa sì una programmazione anticapitalistica ma nei termini necessari per salvare il sistema liberandolo dalle sue tendenze autodistruttive e così che si colloca in un’ottica riformistica.
E’ la grande ripresa della programmazione di Riccardo Lombardi, contestata vittoriosamente da Guido Carli (tra i cui principali allievi spiccava Paolo Savona, che sembra abbia ora cambiato posizione), che si opponeva ad ogni anticapitalismo, ritenendo necessari esclusivamente gli interventi confronti di Luigi Einaudi e dell’economia sociale di mercato della scuola di Friburgo, rivelatisi invece del tutto velleitari. Tale programmazione fu non appoggiata dai partito socialista, avventuratosi in un’impervia ed improba ottica di improba sintesi tra riformismo -anche anticapitalistico, s’intende- atomistico e logica spartitoria, ma fu anche contrastata dal partito comunista, che pensava alla programmazione soprattutto in un’ottica di conquista del potere.
Ora la programmazione economica pubblica coercitiva anticapitalistica di natura riformista è l’unica misura necessaria per salvare la finanza -cade così l’obiezione di Carlo, ora seguito da De Mattia, di una programmazione che, utilizzando Banca d’Italia ed i controlli bancari, svilisce il settore bancario e finanziario- e con essa l’economia.
L’obiezione che questa è velleitaria di fronte alla globalizzazione ed alla de-materialità del capitale finanziario cade di fronte alla pacifica circostanza che tale ostacolo è invincibile solo fino a quando il governo della globalizzazione è fittizio come quello da parte dell’Europa, ma che invece è facilmente superabile nel momento in cui il governo diventa efficace se costretto da concomitanti rivolte popolari diffuse.
Il populismo va quindi visto con profonda attenzione, anche se è ancora ancora acerbo ed immaturo, come dimostrato dalla scriteriata guerra dei 5 Stelle (aiutati dalla Lega) contro Banca d’Italia, ponendosi sulle orme non meritorie di Renzi/Boschi.
Tra sostegno acritico al capitale finanziario ed ai dissesti da un lato e dall’altro populismo demagogico vi è una contrapposizione sterile.
Banca d’Italia può costituire l’ultimo focolaio di resistenza veramente alternativo: finora ha inteso il suo ruolo meritorio in un’ottica di ancoramento al liberalismo ed all’europeismo. Il suo ruolo, che va ribadito ed addirittura ripetuto fino alla noia essere del tutto meritorio, va mantenuto sì in un’ottica però ribaltata.