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IL POPULISMO DISTRUGGE I CORPI INTERMEDI? Featured

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Il populismo, caratterizzato com’è dal richiamo diretto al popolo, senza intermediari e senza mediazione alcuna, viene imputato di distruggere i corpi intermedi come partiti e sindacati. Si trascura, così, con siffatta contestazione, che detti enti, fungendo da forme di organizzazione del popolo, perdono ogni valore nel momento in cui l’organizzazione ha ad oggetto solo l’“immateriale”. Il partito si è dissolto nel rapporto tra “leader” e gruppi di pressione da un lato e “leader” e popolo dall’altro, mentre i sindacati hanno perso il proprio punto di riferimento con la scomparsa della fabbrica. Lelio Basso costruì la teoria dei contropoteri da contrapporre al potere del capitale, basandosi, oltre che su partiti e sindacati, sui consigli di fabbrica e sui comitati di quartiere, di scuola, di strutture sanitarie, etc., anch’essi inattuali: era una teoria la sua che prospettava una rete diffusa di opposizione sociale e popolare che fosse in grado di articolare un’alternativa provvista di grande consenso anche attivo e propositivo, ed addirittura partecipativo. Al momento attuale, non ci possono evidentemente essere contropoteri, se non rari e marginali. Costruire il popolo come contropotere, come pretende il populismo, prescinde dall’organizzazione ed entra evidentemente in un vicolo cieco. Il problema vero è come costituire l’organizzazione del popolo, ma si entra anche qui in un vicolo cieco. Ed infatti, l’unica organizzazione ad oggi possibile è quella del capitale, quale realtà immateriale. Nel portare all’estremo la teoria di Marx, l’unica realtà è quella del capitale, in quanto l’unica dal valore economico. Sarà pure una realtà a testa in giù -come sottolineato da Marx, e ripreso da Colletti, già quando era marxista e che poi usci dal marxismo evidenziando che tale punto fermo del pensiero di Marx, al pari di altri, era in contrasto con un approccio scientifico, e qui Colletti aveva torto, in quanto in campo sociale tra reale ed artificiale non vi è alternativa rigida, essendo il tutto frutto di rapporti sociali e quindi dell’attività dell’uomo-, ma in ogni caso ma è l’unica realtà effettiva, mentre le altre sono solo virtuali. Conseguentemente, occorre, non de-economizzare i rapporti sociali, ma all’esatto contrario costruire, gradualmente, forme economiche alternative, vale a dire forme sociali in grado di prefigurare un’economia alternativa, non un’economia che si sciolga nella società, come secondo un certo sbocco utopistico del marxismo che compromette la sua scientificità, ma un’economia basata sul valore centrale ed esaustivo del lavoro. I corpi intermedi sono quelli funzionali a tale impostazione: al momento si tratta di controllare il capitale a mezzo della programmazione pubblica. Per la precisione, i corpi intermedi sono quelli di operatori economici penalizzati dalla speculazione e dal grande capitale, come risparmiatori, piccoli concorrenti non in grado di diventare grandi che possono essere interessati ad uno sviluppo equilibrato, il tutto compreso da Riccardo Lombardi il quale, all’epoca del primo centro-sinistra nel 62-63, tentò di assistere la programmazione con la penalizzazione dei grandi gruppi speculatori e abusivi e con leggi sulla concorrenza e sulla riforma della società per azioni e con l’abolizione del segreto bancario. Resta in ogni caso, con tale impostazione, non risolto il problema generale e sistemico dei corpi intermedi sociali e politici, vale a dire il ruolo attuale dei grandi corpi intermedi, partiti e sindacati, senza i quali si mantiene resta fermo il rapporto diretto tra popolo e “leader” che porta, diritto, al cesarismo ed alla democrazia autoritaria, con i quali, d’altro canto, l’emancipazione economica è del tutto illusoria. Il nodo è quello dell’organizzazione dei bisogni antitetici al capitale. Dalla democrazia economica si può almeno partire: la democrazia politica deve essere costruita come vincolo dei rappresentanti ai rappresentanti proprio in un ambito di programmazione economica. Il partito ed il sindacato non hanno più senso se non riescono, ciascuno nel proprio ambito, ad aggregare intorno al lavoro ed ai lavoratori i citati soggetti economici.