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LE GRANDI OPERE Featured

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I 5Stelle sono contrari alle grandi opere, e così il mondo politico, economico e di opinione di orientamento moderato non ha alcun problema ad allearsi con la Lega, vituperata per il suo razzismo, nel difendere le stesse grandi opere. Il punto è considerato chiave in quanto coinvolge il rapporto tra sviluppo economico e natura: ma, in realtà, tale approccio è troppo angusto e riduttivo, ed il problema a è ben più complesso e vitale. Le grandi opere danno un segno di sviluppo e creano le infrastrutture necessarie sia per lo stesso sviluppo sia per condizioni adeguate di vita sociale. Ma le stesse sono rovinose, distruggono la natura ed alla fine non si dimostrano funzionali ad una logica di pubblica utilità. Ed infatti, provocano vantaggi smisurati ai privati: incrementano in maniera esagerata i profitti dei titolari delle imprese nei settori interessati. La critica si sposta sul piano economico, in quanto le grandi opere vengono commissionate ed effettuate a prescindere, non solo dal loro impatto ambientale e sociale, ma anche dalla loro efficienza intrinseca, intesa come resistenza strutturale ed idoneità tecnica -vista la loro facile deperibilità e scarsa consistenza-, e da un punto di vista tecnico più generale di scelta dei mezzi più idonei in termini di progettazione, materiale e di localizzazione. La delega alle imprese appaltatrici è totale e senza controlli effettivi. Dalla stazione appaltante pubblica che guida ed indirizza le imprese appaltatrici si è passati a queste come traduttrici ed interpreti di un approccio imprenditoriale che diventa il faro dell’opera pubblica ed in cui l’interesse pubblico è dato per scontato. La grande opera diventa così di interesse pubblico per antonomasia in quanto grande opera, senza una valutazione effettiva ed intrinseca. La grande opera diventa così utile per l’interesse pubblico proprio in quanto tale, mentre sarebbe necessaria una valutazione di utilità e di sua razionalità intrinseca, che invece viene obliterata ed evitata. Diventa questo un discorso veramente generale, di un’economia che esalta il valore di scambio, non solo disinteressandosi del valore di uso, ma addirittura deprimendolo e svilendolo. La difesa della natura ed anche di condizioni di sicurezza e di vita sociale non è quindi fine a sé stessa, ma è collegata ad una valutazione economica di idoneità della grande opera, che non sia scontata solo in quanto grande opera: non è un discorso contro l’economia come vogliono artatamente sostenere i liberisti, ma è una difesa dell’economia da uno sviluppo economico inefficiente e distruttivo. La tutela della natura è dal carattere sociale ed economico. Le grandi opere sono necessarie, ma solo se non rimesse alle imprese private, bensì esclusivamente se inserite in un’ottica di compatibilità di natura, sociale ed economica. Devono, in altri termini, rientrare nella programmazione economica. Non si può aderire all’ecologia in modo incondizionato, in quanto questa diventa anti-industriale, ma nemmeno si può accettare il “favor” nei confronti di una logica privatistica delle grandi opere, che diventa fattore di inefficienza. Il pubblico è al servizio dei privati, ma in un’ottica di inefficienza. Al contrario, il valore di scambio deve essere salvaguardato ed incentivato esclusivamente se favorisce quello di uso, mentre la risposta diventa assolutamente negativa se lo deprime. La TAV è necessaria, ma si sono tenute in debito conto le obiezioni di esperti, che proponevano altro tragitto? Sembra proprio che la sia voluta realizzare a tutti i costi senza alcuna valutazione di ordine naturale e sociale. E’ una distruzione di ordine naturale e sociale, in quanto si vuole favorire la grande opera, anche se inefficiente, con l’idea recondita di aggiustarla con altra grande opera e così via, in un’ottica di autoreferenzialità che porta alla massimizzazione dei profitti, a prescindere dalla propria utilità e razionalità intrinseca. E’ un’ottica analoga a quella del consumismo, in cui i consumi vengono alimentati con beni deteriorabili e sostituibili, in modo da sostituire l’utilità con l’alimentazione forzata. E’ così un elemento distorsivo degli investimenti e di una corretta allocazione delle risorse, in termini macroscopici visti gli alti importi coinvolti. E’ una distorsione non di natura pubblica, come ammoniscono in modo del tutto inconsistente i liberisti, ma di natura privatistica imprenditoriale. Facile è l’obiezione che la grande opera è di interesse pubblico di per sé in quanto provoca investimenti e consumi, anche di natura indotta, secondo una certa ottica keynesiana: questo è un punto centrale, in quanto è proprio qui che si snoda il crinale tra una politica di investimenti e della domanda mediante un supporto all’impresa (politica dell’offerta che ingloba ed indirizza anche gli elementi di politica della domanda) ed una autonoma rispetto alle convenienze delle imprese private ed in funzione di un coordinamento dell’economia secondo equilibrio (vera e propria politica della domanda effettiva). E’ quest’ultimo è l’unico assetto economico ammissibile. Il nodo delle opere pubbliche è decisivo per l’economia, e mostra che gli squilibri sono propri, non dell’intervento pubblico dell’economia -se rientrante in un’ottica di programmazione effettiva senza restare invischiato in un dirigismo fine a sé stesso-, ma dell’azione incontrollato del grande capitale privato.