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“ELITE” E POPOLO Featured

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Su “Repubblica” è emerso un interessante dibattito sul rapporto tra “elite” e popolo avviato da Baricco. La criminalizzazione del ricorso al populismo è scomparsa, e ci si è resi conto, finalmente -non è mai troppo tardi!!!-, che le “elite” hanno fallito. Si propugna così un avvicinamento tra “elite” e popolo. Il discorso è viziato, non solo politicamente ma prima ancora concettualmente ed intellettualmente. In primo luogo, ci si fermati nell’analisi solo al primo passo e non si sono compiuti gli altri: così, non ci si rende conto che il fallimento delle “elite” dipende dal fallimento totale del modello economico sottostante, il capitalismo liberista e finanziario, al cui servizio le “elite” politiche si sono pedissequamente collocate. In secondo luogo, il rapporto tra “elite” e popolo è visto in modo meccanicistico nella scelta delle migliori “elite” possibili, senza assolutamente porre in discussione la distanza rispetto al popolo, che non solo è ma si vuole sempre mantenere incolmabile. La teoria politica della democrazia ridotta alla scelta delle “elite”, propria della omonima teoria del pensiero conservatore, “rectius” di quella parte di questi che si è arresa controvoglia alla democrazia, di fatto si è affermata ed è stata seguita anche a sinistra, la quale, sia nella versione leninista sia nella versione socialdemocratica del marxismo, con l’eccezione quindi della sinistra socialista e delle altre correnti libertarie, ha affidato la “mission” del proletariato al partito In definitiva, si trascura che le “elite” sono appiattite sul potere economico, e che la crisi non è superabile per la semplice ragione che ci si rifiuta assolutamente di mettere in discussione sia le “elite” sia il sistema economico. Proprio in relazione al dibattito citato, il punto che così si trascura, ed anzi che si intende deliberatamente trascurare, è che l’attuale populismo ha una grande efficacia e forza perché attacca un sistema ormai vetusto e in via di disgregazione, anche se provvisto di una grande forza che gli consente sia di dividere socialmente ed economicamente gli avversari e di dominare totalmente le istituzioni, senza alcuna dialettica. Allora, che le “elite” possano riprendere un proprio ruolo positivo ed anche attivo è del tutto illusorio. Il problema è ben altro, ed anzi di natura affatto opposta: premesso che le “elite” sono oramai fuori gioco, può il popolo creare un’alternativa e come? Impostata la domanda in altro modo, l’antagonismo al capitale può trovare una base unitaria in quella massa indistinta che è il popolo? La risposta negativa è molto meno scontata di quel che possa apparite “prima facie”. Il populismo avanza, certamente, una protesta cieca e distruttiva e senza sbocchi. Ma le “elite” non sono in grado di rinnovarsi. Allora, occorre porre in discussione il sistema. Il nodo è a livello non di filosofia politica ma di assetti economico-sociali, livello quest’ultimo che si rifiuta di vedere: si afferma con orgoglio che è un sistema senza alternative, rifiutando di rendersi contro della discrasia tra efficienza, ormai del tutto insussistente, da un lato e, dall’altro, forza, di converso al massimo livello. L’insussistenza di alternativa è il frutto di un suo sopruso, di un suo enorme ed intollerabile abuso, che genera l’inevitabilità di catastrofi ad ogni livello. A livello di filosofia politica, si tratta di prendere atto che anche gli assetti istituzionali del capitalismo sono, irreversibilmente, saltati, con la conseguenza che occorre un nuovo approccio istituzionale che ridimensioni le “elite” fornendo ampio spazio alla voce del popolo. Per non porre le condizioni per scontri di sistema che alla fine mettano quest’ultimo in discussione, è il popolo in rivolta che deve costringere il capitale a limitare fortemente le “elite”. Il rinnovamento delle “elite” è impossibile in quanto esse sono appiattite su un sistema in disfacimento, ma anche una loro sostituzione è parimenti impossibile a meno che quelle nuove non accettino una riduzione del loro ruolo a quello di veri rappresentanti del popolo, in un’ottica in grado di introdurre nel sistema elementi anticapitalistici forti e pregnanti, quale unica via per consentire al sistema di sopravvivere in condizioni di minima decenza. E fino a quando il popolo non si divida nuovamente in classi, il che al momento non è per nulla alle porte, l’anticapitalismo non potrà che essere parziale. Il rinnovamento del sistema deve arrivare in chiave economico-sociale, con una fortissima limitazione del capitale. La riforma a livello istituzionale non può che porsi in assoluta coerenza con tale importantissima novità economico-sociale.