Nel duecentesimo anniversario della nascita di Marx (5 maggio) è sorto un vivace dibattito sulla possibilità storica ed anche attuale di un comunismo libertario, dei consigli (l’analisi più compiuta è dei francesi Pierre Dardot e Christian Laval, “Il potere ai soviet”, Derive Approdi, 2017).
Una premessa. Il libertarismo attiene ai diritti individuali: i diritti collettivi attengono alla democrazia economica e sociale non solo assistenziale e redistributiva. In pratica, nel tempo il pensiero libertario si è arricchito e si è affinato.
Ma la gestione complessiva richiede accentramento di decisione, accentramento discendente della necessità di decisioni immediate, a loro volta inevitabili in una società tecnologica e complessa.
Il libertarismo social-comunista e marxista ha valore e senso solo se non cade nell’utopia e non pretenda un socializzazione assoluta del potere, caratterizzata da coincidenza, ed anzi identificazione, tra governati e governanti.
La distinzione tra chi comanda e chi viene comandato è indefettibile. Il vero nodo è quello di vincolare il comportamento di chi esercita il potere al’interesse di chi ne è destinatario.
Non è solo un problema giuridico e costituzionale, ma soprattutto è problema politico.
Il problema politico è quello di abolire forme di potere originarie, facendo sussistere solo forme derivate, in cui l’esercizio del potere non sia di spettanza intrinseca dei governanti, ma sia concesso a questi dai governati, che devono essere i veri beneficiari di tale esercizio.
Solo il socialismo rivoluzionario (termine che lo scrivente preferisce a quello di comunismo non solo per le sua formazione di socialista di sinistra ma anche perché il comunismo è intrinsecamente non libertario alla luce della figura centrale di guida da esso assegnata al partito e della pretesa di superare con la politica la frammentazione di classe) può realizzare ciò, in quanto è l’unico che mette in discussione il potere economico, negando la natura originaria anche di questo potere e pertanto negando la sua supremazia sui soggetti economici non provvisti di potere.
La messa in discussione esclusivamente di tutte le altre forme di governo –il che rientra anche nelle corde vocali dei movimenti democratici radicali non marxisti- sarebbe priva di efficacia non solo perché il potere economico è la forma di potere veramente decisiva e fondamentale, ma anche perché una disomogeneità di fronte ai poteri renderebbe alla fine illusoria una contestazione, tale da non affrontare il potere nella sua effettiva natura, limitandosi ad alcune forme, tra l’altro quelle secondarie. Di fronte ad una profonda crisi economica, la manifestazione di un volto autoritario del potere politico per salvare le sorti del potere economico renderebbe inefficace qualsivoglia contestazione.
Pertanto, la versione libertaria del marxismo è meritoria nel momento in cui vuole sostituire democrazia e libertà ad oppressione, ma è insufficiente in quanto occorre un approccio più ampio in grado di affrontare il problema dei rapporti tra consigli e piano economico pubblico (e qui si tratta di fare i conti nel profondo con la teoria marxiana del valore, che elude il problema) ed in via più globale di abbandonare l’approccio alla trasformazione sociale in termini di presa del potere, da sostituire con il cambiamento del potere e della sua natura. Il volto libertario, con il ruolo centrale dei consigli, deve essere inserito in un’ottica di gradualismo non rinunciatario ma antagonistico.
Ottica questa che richiede una profonda rielaborazione del marxismo in termini economici, sociali e politici, e fianco filosofici.
Ciò premesso, è da evidenziare che la riscoperta del volto libertario non prematura e non è nemmeno effimera in mancanza di soluzione della problematica più generale.
E’ una riscoperta che consente infatti di inficiare alla radice la deriva politicista della sinistra, con l’ipostatizzazione del potere politico, esiziale anche in un’ottica solo riformista. E proprio adesso la criminalizzazione del populismo non di destra , che riscopre il popolo contro le “elite”, conferma che per la sinistra istituzionale le “elite” sono oramai un dato acquisito ed in nessun modo da ridimensionare.
D’altro canto, il populismo deve fare chiarezza sulla propria natura, con particolare riferimento alla circostanza se il suo bersaglio siano solo le “elite” politiche” od anche quelle economiche. La supina accettazione della “flat tax” chiesta dalla Lega conferma come i 5Stelle non siano in grado di liberare dell’illusione che vi sia un potere economico sano e da incoraggiare in quanto fondato sulla linfa vitale delle imprese produttive, in particolare medio-piccole. E’ da replicare che tale potere economico sano è ancillare rispetto al capitale finanziario oppressivo, con la conseguenza che la sua valorizzazione elude il problema e non lo risolve.