Il 5 maggio di quest’anno ricorre il bicentenario della nascita di Marx.
Il primo centenario cadde appena scoppiata la rivoluzione russa: non poteva esserci ricorrenza
più felice.
Il primo centenario della morte, nel 1983, cadde quando si era avviato da poco il vento liberista
di Reagan e della Thatcher che aveva posto le basi per spazzare, a breve, sia il comunismo sia la socialdemocrazia.
Il bicentenario della nascita cade in un momento paradigmatico.
La prospettiva comunista è scomparsa trascinando con sé anche la socialdemocrazia. E’ il trionfo
del liberismo selvaggio, che è in crisi economica perenne confermando l’analisi di Marx sulla contraddittorietà
intrinseca del sistema capitalistico. Ed è una crisi economica che è diventata anche sociale,
con la disgregazione sociale e con l’intensificazione delle diseguaglianze arrivate a livello
stratosferico, ed addirittura financo politica con lo Stato preda del capitale finanziario , questo privo
di limiti con la globalizzazione, con la de-materializzazione e con la delocalizzazione: le multinazionali,
anche in campo non finanziario, hanno acquisito una caratterizzazione di “holding” in cui
l’aspetto finanziario è quello prevalente., come dimostra, nel piccolo dell’Italia, il caso FCA.
E’ il capitale nel momento più rovinoso e distruttivo, e così in crisi irresolubile derivante non da
fattori esterni ma da fattori interni. Ciò con i suoi avversari sgominati e con la classe lavoratrice polverizzata.
Viene confermata l’analisi scientifica del capitale da parte e viene confermato anche l’impianto
del materialismo storico con la critica dello Stato e con la conferma della sua crisi irreversibile.
A fronte di ciò, vi è la smentita della teoria del comunismo.
Sembrerebbe confermata la dissociazione in Marx tra scienza e ideologia (per tutti Colletti, dal
’74 in poi).
Ma il discorso è ben più complesso: tale dissociazione è frutto di una totale semplificazione, non
solo riduttiva ma addirittura fuorviante e tale da creare un vero e proprio travisamento, anzi, con tutto
il rispetto per Lucio Colletti, una vera e propria mistificazione.
La fondatezza della critica del capitale dimostra che l’anticapitalismo politico ha una base scientifica,
che viene smarrita esclusivamente quando ci si abbandona al volontarismo come in Lenin,
che peraltro si ispirò alla parte politica del pensiero di Marx. Pertanto, non si tratta di creare una
zona sacra intorno a Marx, dando la colpa degli errori sui suoi continuatori, ma la contrario è necessario
circoscrivere la portata degli errori, indubitabili e non raramente riconducibili a lui..
In altri termini, da abbandonare è la non teoria del comunismo ma la sua versione volontaristica.
Sembrerebbe che Il problema vero sia quello di fondare su base scientifica anche la politica,
come emerse nel 75-76 sulla base degli interventi illuminanti dello stesso Colletti (ancora marxista)
e di Bobbio.
Ma anche qui si tratta di una soluzione del tutto riduttiva, semplificatrice e fuorviante (recentemente
un eminente costituzionalista, Giovanni Ferrara, ha tentato una ricerca in tal senso, collocandosi
all’interno della tradizione comunista italiana di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, si tratta un
tentativo egregio ma dai piedi di argilla, se si vuole essere buoni, essendo tale tradizione nient’altro
che un mero sincretismo tra leninismo e socialdemocrazia., ferma restando la grande originalità di
Gramsci, dai risultati estremamente povera, peraltro, sul piano politico).
Il vero nodo è che il marxismo è una teoria critica, ma non ha fondato le teorie positiva, teoria
positiva mai elaborata, in campo: