Mario Draghi, Presidente della Bce, è stato l’artefice –non solo principale, ma addirittura unico, in quanto agendo anche in contrasto con la Germania ed i falchi europei- del “Quantitative easing” vale a dire l’acquisto in massa, da parte della stessa Bce, di titoli del debito pubblico degli Stati deboli, che oramai è alla fine. Alla luce dell’importanza del provvedimento in esame, decisivo per le sorti dell’Europa, e del sorgere di un dibattito acceso ed esteso sulle conseguenze, lo stesso Draghi ha opportunamente, se non addirittura doverosamente, ritenuto di assicurare che non vi saranno conseguenze negative e che non vi sarà deflazione.
Draghi è una persona saggia ed accorta ed ha le buone ragioni per affermare ciò: ma è doveroso constatare che mancano le basi per le sue affermazioni, “rectius” manca qualsivoglia base di natura oggettiva.
A scanso di equivoci, è da precisare subito che il punto è delicato, ma non decisivo: il “Quantitative easing”è stato uno strumento essenziale per puntellare il debito pubblico degli Stati deboli e per sottrarli alle speculazioni delle grandi banche d’affari internazionali, altrimenti in grado di gestire ed anzi governare tali debiti pubblici mediante il dominio esercitato alle aste di collocamento di tali titoli.
Venuto meno il puntello, vi devono essere altri strumenti di salvaguardia ed altri rimedi. Qui scatta la saggezza di Draghi e pertanto lo scrivente è al riguardo sufficientemente –il che non è una presa di distanza, in materia economica e finanziaria una certezza, anche solo di massima, non vi è ed impossibile andare oltre la ragionevolezza- tranquillo.
Il vero punto è un altro: il “Quantitative easing” è una misura caratterizzata da contingenza di mero salvataggio; non si è trasformato in un rilancio dell’economia in quanto si è limitato al sostegno del debito pubblico senza riqualificarlo e senza farlo diventare fattore decisivo del’economia, vale a dire senza utilizzare la spesa pubblica per una politica economica e per il “welfare”. Il debito pubblico è esploso in Italia, dall’81, vale a dire dalla sciagurata separazione tra Tesoro e Bankitalia, a fronte di una riduzione della spesa sociale, diventata tra le più basse in Europa. La spesa pubblica si è trasformata da spesa sociale in spesa per interessi. La politica economica è così finita in mano alla grandi banche d’affari internazionali arbitre della sottoscrizione dei titoli pubblici.
Il “Quantitative easing” è una misura contingente di rimedio, senza che si rimuovano –ed anzi senza che si tenti di rimuovere- le cause.
Il problema vero non è pertanto quello che succederà con la sua fine, visto che da un lato esso non risolve la problematica e che dall’altro misure alternative di rimedio contingente potranno essere individuate.
Il punto vero è che il “Quantitative easing”, nonostante le generalizzate contrarie affermazioni, non è una forma di politica della domanda ma lo è dell’offerta in quanto non si pone in autonomia rispetto al mercato ed alla linea delle imprese, le quali dettano l’offerta.
Draghi sembra essere consapevole di ciò, ma evidenzia che con il “Quantitative easing” ed anche la riforma liberista del mercato del lavoro (“job act”) si sono creati tantissimi posti di lavoro
Si crea così un’indebita commistioni di piani tra effetti positivi per l’economia e loro stabilità ed effettività: la riforma liberista del mercato del lavoro (“Job act”), intrinsecamente esiziale, è stata fallimentare e non ha creato alcun posto di lavoro se non di mera regolarizzazione di precari e solo per ragioni contingenti di benefici fiscali, mentre il “Quantitative easing” ha iniettato nell’economia mezzi finanziari importanti senza finalizzazione e soprattutto senza incisione sulla ragione dei fattori negativi, che non vengono rimossi. E’ una misura non solo congiunturale ma anche di mera copertura di buchi.
Il vero nodo è perché non si fa una effettiva politica della domanda in Italia (ma stesso discorso riguarda l’Europa ed anzi l’Occidente “tout court”: la risposta è piana ed univoca ed anzi elementare, il nodo è non di tecnica economica, ma di economia politica, in quanto il liberismo ed il capitale finanziario si oppongono a ciò.
Ma una politica della domanda richiede un progetto unitario e sistematico che la sinistra riformista antiliberista ben si guarda dal prospettare: vi sono, evidentemente, nodi tecnici non facilmente risolvibili. Occorre gestire il debito pubblico, dagli importi abnormi –non ci si può dondolare dolcemente sull’illusione che una politica di sviluppo risolva il problema-, ma proprio alla luce di tali importi abnormi occorre una strategia basata su misure eccezionali ed espropriative a carico dei ceti ricchi, in particolare di quelli legati al capitale finanziario e che hanno formato le loro abnormi ricchezze in modo palesemente illecito. Ma il capitale finanziario, che domina economia, società e politica, non accetterà mai tali misure e pertanto una corretta strategia basata su un insieme coordinato e sistematico di misure, con un progetto completo, deve avere la forza di imporsi e di basarsi su una autorità e così sulla sovranità interna piena, non autoreferenziale come per i c.d “sovranisti”, ma incentrata sull’emancipazione sociale e sulla democratizzazione totale a propria volta ruotante intorno al costituzionalismo ed alla sovranità popolare.
Per inciso, si dimostra così che il problema dell’autorità non può essere trascurato dal pensiero socialista.
M si dimostra altresì, sempre per inciso, che la critica di Lucio Colletti a Marx di ambiguità sul piano dell’economia politica non è fondata o meglio è del tutto parziale: la costruzione di Marx si basava a propria volta sulla critica non tanto dell’economia politica borghese, quanto piuttosto dell’economia politica “tout court”, in un’ottica che Colletti valutava quale non scientifica sul piano economico. Ebbene è da replicare che è stato proprio il capitale a rendere l’economia politica priva di basi tecniche effettive: la soluzione non può essere trovata pertanto esclusivamente sul piano proprio dell’economia politica. D’altro canto aveva torto lo stesso Marx quando pensava che con la fuoruscita dal capitale non vi sarebbe più stata necessità di un’economia politica, in quanto vi era e vi è tuttora la necessità di elaborare un’economia politica alternativa, senza la quale tale fuoriuscita è meramente illusoria.
Chiusi gli incisi, Draghi è il personaggio di maggior spessore oggi in Europa e non si discute: in molti vedono in lui l’unica persona capace di salvare l’Italia come futuro “Premier”: ma se non mette in discussione il liberismo ed il capitale finanziario, egli sarà ricordato, non tanto per i grandi risultati comunque ottenuti, quanto piuttosto solo per la geniale interpretazione, da lui offerta in uno scenario serio, delle celebre canzone di Lucio Battisti “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”.