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UNA PROPOSTA DI MANIFESTO PER IL NUOVO SOGGETTO POLITICO ALLA SINISTRA DEL PD Featured

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Renzi voleva, fino a pochi giorni fa, neutralizzare gli effetti elettorali della scissione a sinistra ricorrendo a meccanismi “ad hoc” , quale lo sbarramento del 5%, per impedire la presenza in Parlamento del nuovo soggetto. Contava, evidentemente, sul peso suggestivo del voto utile, molto forte in presenza di turno unico, ma non in presenza di doppio turno, il che dimostra la superiorità, per l’appunto, dello stesso doppio turno. Ma se si fa un partito unico, una grande sinistra alternativa al Pd è inevitabile ed addirittura rafforzata dal tentativo di abuso elettorale da parte del Pd. Tale ipotesi di riforma elettorale sembra venuta meno, ma è chiaro che ogni nuovo tentativo di riforma elettorale si indirizzerà sempre nel senso di neutralizzare gli effetti della scissione a sinistra. Ma ciò attiene al contorno: la questione vera è di natura politica, in quanto la scissione, per beneficare di effetti elettorali favorevoli e non falsati, deve basarsi su un progetto politico. Altrimenti, farebbe il gioco di Renzi di farla apparire un qualcosa di posticcio. In tale ottica, non è assolutamente sostenibile la rifondazione del centro-sinistra con la conseguente alleanza con un Pd senza Renzi (mentre un tentativo di condizionare da sinistra Renzi si rivela nient’altro che mera velleità), in quanto Renzi ha fondato il Partito della Nazione che corrisponde all’idea del Grande Centro consolidata nella maggioranza dell’apparato del Pd ma soprattutto tra i Grandi Elettorali, vale a dire all’interno di qui movimenti di opinione e di interesse che sostengono il Pd. Ma non solo, questo è il modello vincente ora in tutta Europa con Macron. Renzi non è Macron e gli mancano la serietà, la competenza e la compostezza di questi, ma il disegno è lo stesso ed è affermato. Addirittura Renzi è stato il primo a fissare il Grande Centro, ma non è stato in grado di farlo decollare per mancanza di statura politica e per mancanza di chiarezza e trasparenza: Macron si è presentato quale rappresentante del Grande Centro, in grado di attrarre le parti moderate della destra e della sinistra, senza velleità di voler essere il “leader” della sinistra per annichilirla e debellarla. Vede nella sinistra uno dei suoi avversari e non una propria parte riottosa se non addirittura traditrice. Ma il progetto è lo stesso: la pretesa di un centro-sinistra in cui la sinistra mantenga i punti centrali della propria identità e della propria progettualità è pura illusione. Di qui l’alternatività del nuovo soggetto politico al centro-sinistra: l’alternatività non esclude, ovviamente, che si possa anche –sulla base dei numeri- concordare accordi livello ed elettorale od anche “post-elettorale” con il centro ma solo alla luce di –e condizionatamente a- una rigorosa negoziazione dei programmi, ed in un’ottica non di alleanza ma di realismo politico tipico delle larghe intese: vale a dire accordo tra schieramenti alternativi. L’alternatività presenta un nodo importante da sciogliere: l’approccio di Renzi, favorito dalla posizione di chi propugna una futura alleanza con il centro-sinistra, porta a relegare il nuovo soggetto, auspicabilmente unitario, ove necessario al netto di chi per l’appunto persegue il discorso dell’alleanza con il Pd, nell’ambito della sinistra radicale, in termini movimentistici e con il rischio di estremismo. Si tratterebbe di un soggetto politico di lotta ma non di Governo, nemmeno in prospettiva. Ciò sulla base della suggestione, creata da Renzi e alimentata da alcuni qualificati esponenti dell’area a sinistra, che il Pd rappresenti il centro-sinistra da cui nessuna forza riformista di sinistra possa prescindere. L’unica alternativa potrebbe essere movimentista e di lotta. Se si scioglie l’equivoco, e si si relega il Pd nell’ambito Grande Centro fautore della globalizzazione di un liberismo appena appena temperato, ostile alla tutela incisiva dei lavoratori, ad uno stato sociale avanzato ed auna forte progressività fiscale, è ovvio che il nuovo soggetto deve rappresentare l’alternativa a tale globalizzazione ed a tale liberalismo, che vedono il ruolo centrale e dominante del capitale finanziario, il quale a propria volta determina le dinamiche di tutto il grande capitale e così di tutta l’economia. Il nuovo soggetto deve rendersi alfiere di un riformismo antiliberista, che non sia mera replica/fotocopia della socialdemocrazia del secondo dopoguerra, ma si ponga in un’ottica di correzione delle dinamiche del capitalismo, imbrigliando il capitale finanziario. Sono necessari due obiettivi a medio termine: a) controllare e regolamentare la finanza, nel senso di stabilità, e di controllo della correttezza, ma anche di inserimento organico in un complesso di programmazione economica pubblica; b) incidere sul debito pubblico, liberandolo dalla finanza – sono le grandi banche d’affari che ora gestiscono le aste dei titoli del debito pubblico- e vincolandolo in senso sociale ei sviluppo economico. L’uguaglianza sostanziale –art.3, 2° comma, Cost.- e dei punti di arrivo e non solo dei punti di partenza –l’eguaglianza dei punti di partenza, tanto cara ai liberisti di (pretesa) sinistra, come Giavazzi, Renzi ed Ichino, non è nient’altro che è “fictio” visto che con la trasmissione successoria delle ricchezze svanisce nel vuoto- e formale deve essere il faro del soggetto, ma quale risultante di un riformismo antiliberista, vale a dire di una politica della domanda non congiunturale ma sistemica. Una politica contro l’ineguaglianza fine a sé stessa, vale a dire quale punto di arrivo e non di partenza, si esaurirebbe in una dimensione sociale che alla fine rappresenterebbe una mera posizione redistributiva senza incidere sulle distorsioni del captale finanziario. Ed infatti, il punto centrale è che il trionfo della diseguaglianza si realizza in un sistema economico dall’alta speculazione distruttiva ed incontrollata, e pertanto inefficace e in perenne crisi economica, dai risultati spesso disastrosi: l’inefficienza crea ineguaglianza che poi perpetra e legittima la prima. Pertanto, lotta all’ineguaglianza sì (senza la quale la sinistra non è tale, sia ben chiaro ed una sinistra che si limiti solo a fornire protezione ai ceti deboli, come pretende Ricolfi, è del tutto illusoria) ma collegata ad una politica economica della domanda anticongiunturale e strategica. La dicotomia tra forza ed efficacia del sistema economico e del capitale finanziario richiede una nuova politica socialdemocratica, che si ricolleghi al nucleo vitale del socialismo di sinistra, e così che imbrigli il capitale finanziario e lo controlli e lo corregga ed anche lo diriga, senza pretese di sostituzione a breve, ma ne ridimensioni gli spiriti animali, creando un sistema veramente misto, misto non nella sola redistribuzione come nel periodo d’opera della socialdemocrazia ma anche delle decisioni di investimento ed economiche. Le nazionalizzazioni non sono il volano di una nuova politica economica. in quanto in quanto con la politica economica dominata dal capitale finanziario esse verrebbero a costituire la foglia di fico od addirittura ad essere strumentalizzate. Lo scrivente trema all’idea di banche in crisi che subito dopo la nazionalizzazione vengano ad essere oggetto di attacco speculativi. Diverso è il discorso relativo a nazionalizzazioni quali forme di interventi sostitutivi in imprese strategiche quali attori ed agenti della programmazione, e quindi in modo non avulso dalla stessa programmazione. Qui bisogna poi confrontarsi con il problema endemico delle imprese pubbliche, di un collegamento non virtuoso ma clientelare tra potere pubblico e vertici. Allora si dovrebbe pensare a svincolare i vertici delle nomine pubbliche, con nomine alternative, quale per la minoranza la nomina ad opera di cittadini (questa è la proposta estremamente interessante di Giorgio Galli, contenuta in un libro congiunto con lo scrivente, in termini più estremi, mentre invece occorre calarla all’interno delle regole proprie del diritto societario) e la scelta del Presidente e dell’Amministratore Delegato da un Comitato di garanti. La mano pubblica nell’economia, assolutamente necessaria e tale da dover essere protagonista, deve essere priva di responsabilità di gestione, altrimenti si avvita nei peggiori meandri possibili per presentarsi quale programmatoria e strategica in modo da condizionare il capitale finanziario e confrontarsi con esso alla pari. Un ultimo punto strategico: il rapporto con la protesta sociale, che una forza di sinistra antiliberista non può assolutamente rinunziare a rappresentare. Ma deve essere chiaro che occorre rinunziare a cavalcare spinte demagogiche che alla fine si porrebbero in termini di mero assistenzialismo non in grado di incidere sul capitale finanziario. Così misure punitive nei confronti delle banche e la rinunzia al salvataggio si porrebbero in controtendenza con una vera riforma del sistema finanziario, mentre misure quale quella del reddito minimo di cittadinanza, se incondizionata ed isolata da una politica della piena occupazione con tutele del posto di lavoro e di un congruo trattamento economico e normativo, corre il rischio di diventare alla fine un’accettazione della disoccupazione. In un momento in cui l’antagonismo sociale è stato debellato e la rappresentanza sociale con relativa aggregazione deve essere profondamente rielaborata, è evidente che la protesta popolare, quale unica forma di opposizione al capitale finanziario, porta necessariamente la sinistra liberista ad un dialogo con il populismo –non nazionalista e non xenofobo, sia ben chiaro-, sulla rivitalizzazione della democrazia, per la quale rivitalizzazione è essenziale la sintesi tra protesta e ruolo attivo del popolo (compito del populismo) da un lato e dall’altro risanamento delle istituzioni (compito della sinistra antiliberista).