Giuseppe Guarino, illustre giurista di diritto pubblico, splendido ultra-novantenne, ha mostrato che i limiti europei alla spesa pubblica interna violano la Costituzione ed i Trattati Europei (Id., Ciittadini europei e crisi dell’euro, Napoli 2014), e analoga analisi è stata effettuata, contestualmente a Guarino ed in autonomia da questi, dall’economista milanese Mario Noera, che ha mostrato la mancanza di fondamenti economici della politica del “Fiscal Compact”. Lo scrivente ritiene, ben più radicalmente dei due chiari aa, che l’adesione all’Europa e la continuazione dell’adesione violino la Costituzione italiana in tre norme fondamentali: si tratta dell’art. 1, 2° comma, secondo cui la sovranità spetta al popolo che la esercita secondo le forme ed i limiti di cui alla stessa Costituzione, e non di altra Costituzione anche se europea, l’art. 11, secondo cui le limitazioni alla sovranità interna sono ammissibili esclusivamente per finalità di pace e giustizia, e non in modo incondizionato come invece nell’Europa. Ma non solo: si è accettata l’adesione ad una comunità liberista, con riconoscimenti sociali solo di principio, in modo da arrivare “de plano” ad una vera e propria rinunzia alla politica economica pubblica, fondamentale nella nostra Costituzione, art. 41, 3° comma: la rinunzia alla politica economica è stata consacrata dall’apposizione di limiti stringenti alla spesa pubblica, in modo effettivo e secondo le reali esigenze della Germania (la cui economia, basata sull’esportazione, la porta lontana dall’Europa verso altri lidi, come adesso si sono finalmente accorti anche sul “Corriere della Sera” ).
In termini squisitamente giuridici, l’adesione all’Europa ha rappresentato una forma di abdicazione, da parte dell’Italia, alla propria sovranità a favore di una sovranità più ampia. E’ stata una scelta incostituzionale, in quanto non rientrante nei poteri di chi deve attuare la Costituzione, ma tale da rappresentare una nuova Costituzione. Non sarebbe stata sufficiente, sia ben chiaro, nemmeno una mera modifica alla Costituzione in quanto la sovranità nazionale appartiene agli elementi costituivi della Costituzione, che non possono essere oggetto di una semplice modifica, ma richiedono una nuova Costituzione, sulla base di un “referendum” o di una Assemblea costituente. La distinzione tra norme costitutive e norme secondarie della Costituzione –sostenuta strenuamente in modo convincente da un Giudice costituzionale di fresca nomina, Franco Modugno- e la conseguente presenza di limiti alla modifica della Costituzione ex art. 138 Cost. –oltre all’intangibilità della forma repubblicana, solennemente prevista, e che può essere elusa con una doppia modifica, la prima consistente nel divieto e la seconda di introduzione della monarchia, come pensava qualche giurista conservatore- non sono pacifici, e così l’insufficienza di una semplice modifica costituzionale, comunque anch’essa mancante, non sarebbe priva di dubbi. E’ da replicare che la Costituzione è il frutto del popolo sovrano, è la quintessenza della sovranità, in modo che la rinunzia della sovranità configura gli estremi della negazione della democrazia. La scelta di altra sovranità in tanto è ammissibile in quanto sia frutto di scelta costituzionale riconducibile al popolo sovrano. Altrimenti, la democrazia diventa meramente fittizia, con il popolo non più sovrano ma che subisce le scelte fondamentali di altri: qui si tratta di scelta relativa alla parte altissima dell’assetto statale ed all’individuazione di chi assume le scelte di indirizzo politico concreto, tra cui spiccano quelle di politica economica, scelte di politica economica di cui il nostro Stato si è spogliato a favore dell’Europa dominata della Germania e prima ancora a favore delle grandi banche d’affari internazionali che tengono saldamente in mano le aste dei titoli del debito pubblico con la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia decisa nel 1981 dal Governatore di Banca d’Italia Ciampi e dal Ministro del Tesoro Andreatta. Né si possono interpretare estensivamente i principi di pace e giustizia di cui all’art. 11, ricollegandosi alla teoria di Kelsen, secondo cui comunità sovranazionali rispondenti al diritto internazionale costituirebbero forme di una nuova sovranità priva di soggettività ed autoritarietà.
E’ da replicare che ciò potrebbe essere ammesso solo se la sovranità popolare fosse salvaguardata. Sfugge a Kelsen che la sovranità nazionale non è un’ipostasi, non è la proiezione del sovrano, al pari della secolarizzazione dell’idea di Dio, come in Schmitt, ma all’esatto contrario è la forma genuina di manifestazione della sovranità popolare, è l’autorità –il monopolio della violenza legittima, secondo la famosa definizione di Max Weber- al servizio del popolo. La sovranità nazionale è strumentale alla sovranità popolare-. In mancanza di detta strumentalità, si arriva all’identificazione tra democrazia ed oligarchia, addirittura recentemente consacrata da Scalfari, e soprattutto ad attribuire la sovranità a un Organo, rendendo vana quella dissociazione tra sovranità e sovrano magistralmente realizzata dalla nostra Costituzione –veramente la più bella del mondo-, che ammette la prima e nega il secondo. Per inciso, la sovranità nazionale deve essere riscoperta a sinistra, e sembrerebbe che qui si trovi una convergenza con la destra, ma l’impressione svanisce proprio in quanto la sinistra considera, “rectius” deve considerare, la sovranità nazionale strumentale rispetto alla sovranità popolare e confuta ogni ipotesi di autoritarietà e di potenza che invece contraddistinguono la stessa destra. Chiuso l’inciso, una comunità sovranazionale in tanto è ammissibile in quanto salvaguardi la sovranità popolare: per salvaguardare quella della comunità più vasta occorre partire dalla salvaguardia delle comunità nazionali che devono essere coordinate e rafforzate e non annullate come invece in Europa. E la sovranità popolare non può sussistere senza programmazione democratica europea, vale a dire senza una politica economica in cui il popolo possa vedere realizzate le proprie esigenze fondamentali piegando le forze del mercato. La Costituzione europea liberista è incostituzionale anche sotto questo fondamentale aspetto. Ora, non si tratta di uscire dall’Euro -il che è un lusso che si possono permettere solo gli Stati forti come l’Inghilterra, ed è da vedere se anche loro restano vittime di contraccolpi-, che rientrerebbe in un protezionismo, anche se auspicato da autorevoli esponenti della sinistra radicale, che non uscirebbe dalle secche di una tradizionale manifestazione della sovranità nazionale, nella manifestazione più autoritaria possibile. E’ necessaria invece la costruzione delle basi per una programmazione economica pubblica europea, partendo da programmazioni nazionali in cui vengano recepite le istanze fondamentali popolari, coordinate grazie alla collaborazione tra Autorità di Vigilanza bancarie e finanziarie, che limitino e blocchino la speculazione, e nel contempo siano incardinate nella politica economica statale.