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GLI INTERVENTI INTERNI ED ESTERNI A FAVORE DEL SI’ NEL “REFERENDUM”

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I poteri forti interni, dalla Confindustria al Gruppo Fiat ed a Bazoli si sono da tempo schierati a favore del sì nel “referendum”: anche la finanza internazionale è schierata, ed ancora da prima, e non a caso qualche anno fa JP Morgan lamentò la crisi dei Paesi mediterranei dovuta alla loro ingovernabilità per l’eccesso di pluralismo delle Costituzioni conformi a visioni socialiste originate dall’antifascismo; JP Morgan da tempo la sta facendo da padrona in Italia insieme alle altre grandi banche d’affari internazionali come dimostrato dai derivati rovinosi imposti allo Stato e dall’impossibilità di esaminare i relativi contratti al fin di denunziarne l’abusività; ed ora sta guidando l’operazione di salvataggio di Monte dei Paschi, operazione di sistema che richiede un intervento forte proprio quale quello di JP Morgan. In definitiva, questa assume il comando di Monte dei Paschi, terza banca italiana, dove ha ottenuto –dai compiacenti Renzi e Padoan- subito la sostituzione dell’Amministratore Delegato Viola, non gradito per eccesso di rigore. Ciò non bastava? Ora è proprio l’America come Stato che ha fatto l’intervento deciso a favore del “referendum” a mezzo del proprio Ambasciatore. L’economia interna, l’economia esterna in un ambito di mutuo scambio con l’Italia, non alla pari ma di sostegno per le nostre difficoltà in cambio del potere effettivo, ed ora gli alleati esterni con discesa in campo del più forte, e con appoggio meno esplicito dell’Europa intera, fanno campagna elettorale a favore del Sì. Non vi è da scandalizzarsi, si tratta, in astratto almeno, di una logica corretta di interesse ineliminabile in una democrazia pluralista. Certo, parlare di una logica di cooperazione internazionale che sarebbe anacronistico contrastare in una desueta logica di protezionismo, come fa l’ineffabile Angelo Panebianco su “Il Corriere della Sera”, si rivela dall’umorismo involontario irresistibile, in quanto il chiaro a. fa finta di dimenticarsi che si tratta di interferenza dei forti su un Paese debole, in un’ottica che sa di supremazia e di egemonia (e, per non scomodare Marx e Lenin, non si usa il termine ben più appropriato di “imperialismo”). Ma non è questo il punto principale, in quanto nessuno può negare in un’alleanza economica e politica al “partner” forte la legittimazione ad esprimere la sua sull’alleato debole. Il punto vero è che si tratta della scelta dell’assetto costituzionale, scelta fondamentale di democrazia interna, tale da incarnare l’essenza della sovranità popolare, e che tale scelta viene condizionata fortemente dai poteri forti ed addirittura dall’esterno. Ma non solo, l’appoggio fornito da un alleato forte, in un momento di crisi economica profonda dell’alleato debole che è costretto a chiedere aiuti e deroghe, nient’altro vuol dire nel concreto che condizionare gli aiuti economici ad un determinata configurazione costituzionale. E’ vera ingerenza. Ma non solo ancora: è una scelta di accentramento di poteri –Renzi nega, ma per favore si rivolga non a noi sostenitori del no ma a JP Morgan che di accentramento di poteri ha espressamente parlato e all’intera America che questo vuole- che comporta limitazione alla democrazia in cambio dei benefici di appartenenza al mondo occidentale. E’ una svolta autoritaria appoggiata dall’esterno: vi è così un doppio autoritarismo, da un lato consistente nella concentrazione di poteri all’interno e dall’altro di dipendenza del potere interno –non a caso accentrato, in quanto un pluralismo effettivo può essere sì controllato ma con grande fatica- dal potere esterno: la supremazia esterna si consolida perché richiede l’eliminazione di ogni ostacolo. Non si esagera se si evoca un vero e proprio colpo di Stato non violento, con l’instaurazione non di una dittatura ma di un regime autoritario. La concentrazione di potere elimina un effettivo pluralismo e rende istituzionale e non più di fatto il dominio esterno. Il risultato indefettibile è che si lede la sovranità popolare imponendo al popolo un assetto dello Stato scelto da altri, condizionando la scelta a ragioni non funzionali, vale a dire non legate all’effettivo funzionamento delle istituzioni, ma dipendenti da un’opzione politica. Non è più il popolo che pone in atto un’opzione politica alla luce di ragioni funzionali, ma è lo stesso che subisce le ragioni funzionali derivanti da un’opzione politica cui non si può sottrarre in quanto derivante da una situazione di egemonia esterna. Se l’opzione politica non lascia poi varianti e possibilità di assumere decisioni su punti fondamentali, quale l’assetto costituzionale, la sovranità popolare svanisce a favore di un’egemonia esterna. Né si può ribattere che la sovranità popolare è salvaguardata dall’adesione all’opzione politica, in quanto l’opzione politica non può assorbire le istituzioni: è questa l’essenza della democrazia costituzionale che inibisce al potere di stravolgere istituzioni e regole. E’ la violazione espressa ed eclatante dell’art. 1, 2° comma, della Costituzione, ai sensi del quale “La sovranità appartiene al popolo che al esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ora le scelte sono imposte al popolo. Il popolo può disattendere i consigli dell’America: certamente, ma trattandosi di indicazioni di chi esercita, l’egemonia si tratterebbe di scelta tale da creare uno sconquasso. Ma si ripete che se l’egemonia non rispetta le regole bensì le assorbe si passa ad una dittatura, in questo caso, morbida, e così è bene parlare di autoritarismo. Non bisogna scherzare con le parole, e l’assimilazione di Renzi a Pinochet fatta da Di Maio, a prescindere dall’errore di qualificare il dittatore come venezuelano invece che come cileno, è inammissibile, in quanto l’autoritarismo non mette a repentaglio la vita e la sicurezza degli oppositori, come modestamente chi scrive, a differenza della dittatura e quella di Pinochet fu una delle più sanguinarie.

Per concludere, la Corte Costituzione ha rinviato la propria decisione sulla costituzionalità dell’”Italicum” a dopo il “referendum”, all’evidente fine di evitare contraccolpi sul “referendum” stesso. E’ una decisione incredibile: essa ha il merito di certificare il collegamento tra “Italicum” e modifica della Costituzione, nonostante flebili dinieghi da parte di Renzi, dinieghi smentiti da mille atteggiamenti e da prese di posizione di renziani autorevoli come Abravanel. Proprio per il collegamento, una decisione sulla costituzionalità dell’”Italicum” che è il mezzo per scegliere chi beneficerà dell’accentramento di poteri, fornisce un’utile indicazione al popolo sulle ragioni tecniche e funzionali anche della modifica costituzionale. Molti costituzionalisti e giuristi, anche schierati a favore del “no”, hanno apprezzato la decisione della Corte. La Corte tradizionalmente è attentata agli equilibri politici ed a non turbarli, ma sempre nel rispetto della Costituzione e della sovranità popolare: qui mantenere il popolo all’oscuro di un punto fondamentale si rivela arbitrario e si inserisce nella tendenza qui denunziata. Se il custode della Costituzione abbandona, o comunque mantiene atteggiamenti deboli, è certificato che l’attacco al costituzionalismo ed alla sovranità popolare è micidiale. Chi come Pisapia o come Serra invitano a non porre la questione del “referendum” in termini radicali, scendano dalla nuvoletta in cui si sono comodamente adagiati. (a ritmo alternato, in quanto Pisapia ben si è guardato dall’invitare Renzi a non personalizzare lo scontro)-: qui non è in gioco Renzi -la cui sorte sarà decisa alle elezioni politiche-, ma è in gioco la Costituzione, anzi il Costituzionalismo, e con esso la sovranità popolare. Chi si defila, diserta e tradisce i valori fondamentali dell’Occidente e della democrazia costituzionale, su cui si fonda la stessa liberal-democrazia.