Unanimi sono stati i consensi a favore di Ciampi, al momento della morte, in un’ottica di vera e propria beatificazione: unica voce contraria è stata della Lega Nord che con Salvini ha additato Ciampi quale traditore per l’euro. Ciampi è stato Governatore di Banca d’Italia, Presidente del Consiglio, Ministro del Tesoro e Presidente della Repubblica. E’ stato, il suo, un percorso eccezionale, caratterizzato non solo da grande autorevolezza ed immenso prestigio, ma anche da grande efficacia e grande correttezza. Come Governatore di Banca d’Italia succeduto a Baffi vittima di un’indagine giudiziaria rivelatasi infondata e non priva di aspetti inquietanti ha gestito in modo impeccabile la crisi dell’Ambrosiano salvaguardando i depositanti senza gravare sull’erario pubblico ed ha promosso il rafforzamento del sistema bancario, tenendolo indenne da scandali ed insolvenze e da avventurieri e favorendo la sua evoluzione con le privatizzazioni, l’operatività in titoli e la competitività, il tutto coniugando stabilità e efficienza. In politica è stato uno degli attori dell’adesione all’Euro, anche con dure ed efficaci misure di politica economica. Come Presidente della Repubblica è stato impeccabile come arbitro di fronte alle iniziative più discutibili di Berlusconi, ed ha riscoperto l’opposizione al fascismo da parte di settori rilevanti dell’esercito (anche se l’episodio di Cefalonia da lui utilizzato come emblema viene ora ridimensionato dagli storici): si è opposto con successo a gruppi economici discutibili, alla criminalità organizzata ed a gruppi di pressione inquietanti, anche come poteri occulti e come settori deviati dello Stato. Una grandissima immensa figura, come Pertini, ma con maggiore concretezza ed efficacia: a differenza di Napolitano non ha mai piegato le istituzioni a convenienze di sistema.
Rimangono due punti centrali critici. Da un lato è stato protagonista, come Governatore di Banca d’Italia insieme ad Andreatta, quale Ministro del Tesoro, del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, facendo venir meno l’obbligo di Banca d’Italia di sottoscrivere le aste dei titoli del debito pubblico, al fine sia di costringere lo Stato ad avviare la strada del risanamento non avendo più la certezza della copertura sia di salvaguardare l’autonomia di Banca d’Italia e l’indipendenza del sistema bancario. Da allora, 1981, il debito pubblico, pari al 60% del Pil, è saltato al 140% proprio del Pil. Il debito pubblico è saltato alle stelle, vedendo peraltro diminuire la componente sociale a favore di quella degli interessi dei titoli pubblici, con il debito pubblico governato dalle grandi banche d’affari che assicurano la sottoscrizione dei titoli pubblici e impongono derivati rovinosi. In nome del rigore dei conti, si è in realtà perseguito il ridimensionamento dello Stato sociale che non ha portato effettivi benefici ai conti pubblici, spogliando nel contempo lo Stato della gestione dei conti pubblici, affidata alle grandi banche d’affari. Ciò si è realizzato gradualmente nel tempo ma la scelta del divorzio fu deflagrante e devastante in quanto privò il debito pubblico di ogni tutela esponendolo alle intemperie dei mercati, non retti dalla concorrenza ma dominati dalla grande finanza speculativa, i cui interessi sono proprio incompatibili con quelli dello Stato. La stessa indipendenza di Banca d’Italia e del settore bancario si è rivelata apparente, finendo entrambi succubi della finanza internazionale che alla fine ha debilitato il settore bancario ed ha privato Banca d’Italia della possibilità di proteggerlo effettivamente, come dimostrato dalla vicenda di Monte Paschi e delle 4 banche. Dall’altro Ciampi è stato protagonista dell’incondizionata adesione all’Europa ed all’Euro, il che, se è stato salutare per porre un limite al baratro dei conti pubblici e ci ha fornito una credibilità ed una salvaguardia internazionali, nel contempo ha comportato l’abdicazione alla sovranità nazionale a favore non di una comunità sovra-nazionale, in effetti fittizia, ma di una oppressiva egemonia tedesca –la cui economia basata sull’esportazione la porta lontano dall’Europa verso altri lidi, come adesso si sono finalmente accorti anche sul “Corriere della Sera”-. Non si è verificato se fossero rispettati gli artt. 1, 2° comma ed art. 11 Cost., secondo i quali rispettivamente la sovranità spetta al popolo che la esercita secondo le forme ed i limiti di cui alla stessa Costituzione, e le limitazioni alla sovranità sono ammissibili esclusivamente per finalità di pace e giustizia. Ma non solo: si è accettata l’adesione ad una comunità liberista, con riconoscimenti sociali solo di principio, in modo da arrivare “de plano” ad una vera e propria rinunzia alla politica economica pubblica fondamentale nella nostra Costituzione, art. 41, 3° comma: la rinunzia alla politica economica è stata consacrata dall’apposizione di limiti stringenti alla spesa pubblica, in modo acritico e secondo le effettive esigenze della Germania. Giuseppe Guarino, illustre giurista, ha mostrato che i limiti alla spesa pubblica violano la Costituzione ed i Trattati europei, e analoga analisi è stata effettuata, contestualmente a Guarino ed in autonomia da questi, dall’economista milanese Mario Noera, che ha mostrato la mancanza di fondamenti economici della politica del “Fiscal Compact”- Ma lo scrivente ritiene, più radicalmente dei due chiari aa., che le violazioni erano intrinseche ad un sistema normativo che ha violato la Costituzione interna senza garanzie di una effettiva salvaguardia nella nuova comunità.
Ciampi ha sempre esaltato la nascita dell’l’Europa quale nuova era, in grado di superare i nazionalismi che avevano determinato ben due guerre mondiali caratterizzando in termini negativi il Novecento: ha così trascurato che senza una politica sociale effettiva e senza omogeneità sociale l’Unione europea è fittizia. Senza una politica economica pubblica le grandi imprese impongono una visione di speculazione e di scambi ineguali che scatenano il nazionalismo e portano diritto all’imperialismo. Ciampi ha trascurato che l’Europa non aveva senso senza una profonda iniezione di elementi di socialismo: in tal senso era il Programma di Ventotene di Altiero Spinelli, che trova il suo antecedente storico negli Stati uniti socialisti d’Europa di cui all’elaborazione del 1906-1910 di Otto Bauer, padre dell’austro-marxismo. In definitiva, Ciampi è stato un vero Padre della Patria, dal rigore economico ed istituzionale enorme, in grado di impedire il baratro e ha posto limiti precisi alle degenerazioni, ma il suo limite è stato nella direzione politica che, sia direttamente sia indirettamente ma univocamente visto il suo ruolo indiscusso, ha impresso al Paese, direzione politica consistente nell’alleanza tra sinistra ed imprenditoria consolidata, collocando tale alleanza in un’ottica di conciliazione e non di conflitto sociale senza accorgersi che era l’imprenditoria che guidava la sinistra ed ha disarmato questa rendendola docile e sottomessa, in modo che senza ostacoli si è comportata in modo abusivo ed arbitrario. Di qui il cedimento della sinistra di fronte a Berlusconi, o meglio un’opposizione senza contenuti, diversi da quelli di lealtà istituzionale, se non quelli di fatto centristi: caduto Berlusconi, si è dissolta la sinistra trovando il suo faro in Renzi, un vero clone di Berlusconi, senza compromissioni personali e veramente più centrista, senza cedimenti a destra. Ciampi da Governatore di Banca d’Italia ha puntato al rafforzamento dei gruppi bancari, anche basandosi sulla circostanza che gli illeciti erano compiuti dai finanziari di assalto e non da quelli consolidati, mentre invece proprio i grandi gruppi sono stati protagonisti nel tempo di illeciti gravissimi e ripetuti, privi di limiti e contrappesi. Ciampi ha formato economisti e banchieri di sinistra, che hanno consolidato tale tendenza. L’allievo prediletto di Ciampi, Padoa Schioppa, da Ministro dell’Economia ha predisposto una normativa tale da legittimare senza limiti i “credit default swap”, derivati di credito in grado di mettere in ginocchio debitori non graditi, e quando è scoppiata la crisi da speculazione finanziaria ha invitato a non usare il termine “capitale finanziario” in quanto troppo marxista (ed infatti dovuto nel 1910 a Rudolf Hilferding, economista marxista socialdemocratico di sinistra poi, anche Ministro delle Finanze a Weimar, caratterizzatosi in senso antibolscevico, ma sempre marxista e rivoluzionario). Ciampi è stato il protagonista di una svolta riformista non antagonista e non conflittuale che ha consentito, al di là delle intenzioni si intende -intenzioni in perfetta buona fede e basate sulla convinzione che senza il comunismo il capitalismo potesse sviluppare il proprio miglior volto-, il predominio del peggiore capitalismo, senza limiti e controlli. Ma la responsabilità è sua solo in parte: la sinistra, abbandonata la prospettiva rivoluzionaria a breve, non si è posta nemmeno il problema di un riformismo conflittuale e antagonista, capace di imporre correzioni e limiti effettivi ed indirizzi rigorosi al capitale. Le contraddizioni interne ed ineliminabili del capitale, che sono sfociate in una crisi endogena e non esogena, erano tutte scritte ne “Il Capitale”, ma la sinistra italiana istituzionale si è frettolosamente sbarazzata di Marx andando a trovare referenti ideologici discutibili ed errati –addirittura, finita irresponsabilmente in campo liberale, è andata oltre Croce e la distinzione tra liberalismo e liberismo, presso Einaudi e la scuola dell’ordo-liberalismo tedesco, vale a dire l’economia sociale di mercato-: la responsabilità vera è di questa e non di Ciampi che marxista non è mai stato. Ma se è profondamente sbagliato porre la responsabilità di Ciampi in maniera personale, evocando addirittura il tradimento come fa la Lega Nord, non è meno sbagliato tacciarlo di subalternità al capitale, evidenziando le fallimentari privatizzazioni di cui è stato protagonista: si è trattato infatti di una mera ed indefettibile conseguenza dell’impostazione generale già vista, con la sinistra incapace di proporre un diverso assetto del settore pubblico dell’economia alternativo a quello clientelare che aveva preso il sopravvento, trascurando il ruolo propulsivo delle partecipazioni statali e la circostanza che le banche pubbliche italiane erano un modello di efficienza in Europa, con lo sfacelo verificatosi non a caso dopo le privatizzazioni.
Adesso occorre fare un salto in avanti: anche il riformismo conflittuale ed antagonistico su cui insiste da un decennio lo scrivente si è dissolto, stritolato come è tra spirito meramente identitario, e quindi estremista ed utopista, da un lato, ed opportunismo con corsa al centro e adesione acritica al liberismo dall’altro. Ora si apre una nuova fase: il sistema è in disfacimento e l’unica opposizione è antipolitica e a-classista, è il populismo. Ci si può incuneare tra i due? O meglio, si può utilizzare il populismo per una sfida correttiva radicale al sistema? E’ questa la sfida che ci coinvolge ora, e su cui lo scrivente sta dialogando con Giorgio Galli. Ciampi appartiene al passato, in cui ha svolto il ruolo di un grandissima figura, che ha vinto ma solo apparentemente, in realtà ha vinto come Pirro. La realtà vera è che è uno sconfitto di grandissimo rango, a cui va reso sincero ed incondizionato onore, non disgiunto da una serrata ed implacabile critica non personale ma di indirizzo.