La soluzione più temuta ed addirittura esorcizzata si è alla fine realizzata: il popolo britannico ha votato a favore dall’uscita dall’Europa; lo scarto è stato esiguo, ma in democrazia quello che conta è la scelta, da parte del popolo sovrano, a maggioranza (tra l’altro a volte anche relativa, qui si tratta di maggioranza assoluta), di rappresentanti o di decisioni, quale che sia lo scarto. L’esiguità dello scarto è l’argomento di chi vuole ridimensionare un risultato elettorale, e così, se utilizzata insistentemente, oltre la retorica della polemica, nasconde una vocazione antidemocratica. Negli ultimi gironi prima del voto, si era manifestato il convincimento –accettato problematicamente anche dallo scrivente- che alla fine l’uscita sarebbe stata respinta sulla base di una valutazione di razionalità. Ed invece no, la decisione, quasi unitariamente giudicata irrazionale, che getta una lapide sull’Europa e danneggia la stessa Gran Bretagna, è passata, con tutta l’Europa ed addirittura tutto il mondo increduli ed addirittura proprio l’Inghilterra (Scozia ed Irlanda hanno votato contro l’uscita) per quanto fatto, con molti votanti per il sì che si sono già pentiti. Ma, quello che conta è il risultato: uno dei Paesi europei e mondali più importanti, colonna dell’Europa -che ha difeso strenuamente durante le due guerre mondiali-, anche se con integrazione solo parziale, e non a caso non aderente all’euro, e con molte e rilevanti esenzioni, esce dall’Europa. Non è un Paese mediterraneo debole che fa tale scelta ma uno forte. L’effetto di trascinamento nei confronti dei Paesi deboli è inevitabile. La fine dell’Europa è segnata. L’Inghilterra viene ad essere spinta fuori dall’Europa, nell’ambito di un fenomeno più ampio che vede il capitale inglese de-occidentalizzarsi. Forse tale fenomeno è ancora all’avvio e l’uscita adesso è prematura, e così si spiega la opposizione della “City” all’uscita, ma quello che è chiaro è che il fenomeno è irreversibile: e si rientra in una lotta per l’egemonia tra il capitale tedesco e quello inglese, il primo dominante sull’Europa ed il secondo che si muove a più ampio raggio. Il popolo inglese si trova penalizzato dall’isolamento in quanto la delocalizzazione fuori dell’Occidente va a favore solo del capitale, ma si ripete che il discorso va inquadrato in una cornice più ampia di scontro per l’egemonia. La scelta è certamente irrazionale sia dal punto di vista dell’Europa, avviata verso la disgregazione, sia da quello dell’Inghilterra, ora penalizzata e che potrebbe addirittura essere trascinata in un altro contesto, irriducibile all’attuale. Ma nel condannare il voto si trascura che lo stesso è un voto di protesta (in cui l’opposizione ad accogliere i migranti non è l’elemento decisivo), in quanto l’Europa è non solo in crisi ma anche priva di identità senza limiti al dominio tedesco e con gli altri Paesi in posizione di sudditanza schiacciati dal debito pubblico e privi di autonomia sostanziale. Anche l’Inghilterra, Paese privilegiato, sente l’oppressione di un dominio brutale ed inefficiente.
Brexit è stato sì un voto disperato ed irrazionale ma contro una realtà in disfacimento. E’ stato un grido sia di dolore sia di allarme ed anche un rifiuto immediato di una realtà oppressiva ed inefficace. Certamente, la risposta che esce fuori non è adeguata in quanto non presenta un’alternativa, ed il ritorno allo Stato-Nazione non si rivela realistico in un’economia globalizzata: ma la potata solo negativa e distruttiva del voto nulla toglie alla radicalità del rifiuto e della bocciatura, cui non si può rispondere come se nulla fosse successo. In tale ottica, è quanto meno sgradevole l’arroganza delle Autorità europee e dei tedeschi che assumono atteggiamenti arroganti ed ultimativi nei confronti degli inglesi in modo da non dare loro né alternative né gradualismo, atteggiamenti che ricordano quelli assunti nei confronti dei greci: è una posizione di comando ed unilaterale fuori luogo per chi ha fallito nel proprio compito, come le istituzioni europee e tedesche; ma è anche una posizione insensata in quanto rivolta nei confronti di un Paese forte –in senso critico nei confronti di detti atteggiamenti si è addirittura manifestato Henry Kissinger-. Le istituzioni tedesche e ed europee dimostrano di aver perso la testa, in una corsa inarrestabile verso il baratro. Parlare di occasione di rilancio che tragga lezione dagli errori è illogico in quanto occorre mettere in discussione l’intero modello, e non sono sufficienti piccoli aggiustamenti. Ed è un modello che è inidoneo a correggersi in quanto basato sulla supremazia dell’economia mentre è del tutto inefficiente proprio economicamente.
La crisi del settore bancario, sempre più grave, dimostra l’inefficienza del sistema economico, con le banche da anni chiamate a sorreggere in modo incisivo il settore produttivo, il che ha prodotto tale risultato disastroso. Il sostegno fallimentare all’economia industriale a mezzo crediti si è accompagnato ad un’accentuazione dell’ipertrofia della finanza speculativa, come dimostrato dall’esplosione dell’esposizione in strumenti derivati (Deutsche Bank è esposta in derivati per decine di multipli del Pil tedesco). Lo scoppio di una crisi finanziaria quale quella del 2008, se non ancora più grave, è vicino. Non è uno scoppio inevitabile, ma l’eventuale successo di un’opera di prevenzione comporterebbe un costo abnorme. Non è l’Europa dei tecnocrati (come invece ritiene il sociologo tedesco Offe), in quanto vengono violate le più elementari regole tecniche, con derivati rovinosi ed arbitrari. E’ il dominio cieco del capitale, senza limiti tecnici, democratici e nemmeno economici. Le istituzioni sono crollate, dopo lo Stato-Nazione crolla l’Europa. Le masse sono divaricate non solo dalle “élite”, ma addirittura dalle istituzioni. Chi critica –ed è questa una posizione maggioritaria, con l’avallo addirittura di Napolitano- il ricorso al “referendum” ed evidenzia l’impossibilità di risolvere questioni così complesse con il ricorso al popolo, non solo si dimostra antidemocratico ma è anche privo di buon senso in quanto vuol precludere al popolo di esprimersi proprio quando questi non ha più fiducia nella politica. Non ci rende conto della frattura tra istituzioni, preda del capitale, da un lato e dall’altro popolo a metà tra la protesta e la ribellione. Contrapporre il popolo ai tecnocratici come fa Offe invece che al capitale alimenta l’illusione di una svolta democratica possibile quando il nemico, pur forte, non ha il dominio totale. Riconoscere invece che il vero nemico è sempre e soltanto il grande capitale vuol dire fare “tabula rasa” di quarant’anni di analisi irrealistiche che hanno rinunziato ad ogni visione di classe. A prescindere dalla problematica se sia ammissibile conferire al popolo il potere di intervenire direttamente sui Trattati internazionali (Il che non è consentito dalla Costituzione italiana, art. 75, comma 2°), non occorre dimenticare che la cessione di sovranità realizzata con l’adesione all’Europa è un vero e proprio cambio di assetto dello Stato che richiede un nuovo processo costituente (in Italia è una cessione ben oltre i limiti di cui l’art.11) ed inoltre si è consumata con modalità giuridicamente discutibili con abusi della Germania e violazione di norme costituzionali interne fondamentali (per es. art. 47 della Costituzione italiana, in occasione del “bail-in”). In definitiva il ricorso al popolo sovrano interno per la conferma dell’adesione all’Europa è del tutto legittimo. Che il popolo britannico abbia assunto una scelta irrazionale non è conferente in quanto il vero punto è che di fronte all’impossibilità di una vera alternativa, che è quella della riforma democratica dell’Europa, impossibilità dovuta ad un modello autoritario a tutela degli abusi del capitale, il popolo disperato risponde con il rifiuto. Si crea una situazione esplosiva. Che il populismo incontri limiti e freni, come dimostrato dal caso della Spagna dove vi è stato un voto a favore dei Partiti tradizionali, o dal rifiuto della Scozia e dell’Irlanda di accettare il rifiuto, staccandosi quindi dall’Inghilterra in chiave europeista, non è decisivo: il processo è complesso ma non toglie che sia inarrestabile. Il populismo può essere sconfitto solo da un completamento del processo autoritario in grado di eliminare gli ultimi elementi di democrazia formale ancora in piedi: soluzione a questo punto non più da escludere viste le reazioni scomposte al voto britannico. Altrimenti si crea una dialettica nel senso di tensione dagli esiti imprevedibili.
Una rivolta vera a questo punto non può essere esclusa. La sinistra è ai margini e il comportamento di Corbyn, contrario all’uscita ma che si è defilato durante la campagna elettorale per il voto conferma la mancanza di alternativa e l’incapacità della sinistra di appassionarsi per la scelta meno cattiva, non essendo possibile una veramente buona: è un incapacità che dimostra la mancanza di politica. Poi l’attacco a Corbyn all’interno ed all’esterno del partito laburista è irresponsabile. Si pretendeva un appiattimento su un falso europeismo, senza dialettica. Il populismo è il vero avversario di un potere in decomposizione. Poiché è non in grado di proporre un’alternativa, esso costituisce un incentivo ad attutire le posizioni radicali del modello: può costituire un incentivo anche ad abbandonare il modello? La risposta è negativa, con la prospettiva di un’alternativa tra rivolta cieca e svolta autoritaria totale, a meno di un’alleanza tra settori del capitile consapevoli dell’inevitabilità dell’esito rovinoso delle dinamiche del capitale finanziario lasciate a sé stesse, e una sinistra riformista antiliberista, ammesso che riesca ad emergere –e sembra proprio di no, purtroppo-. Il capitalismo è non riformabile come insegnato da Marx, ma alcune volte nella Storia il capitale ha percepito acutamente la necessità di un riformismo incisivo tattico. Una spinta in tal senso può venire da un rafforzamento dell’ipotetica sinistra sopra accennata grazie all’alleanza anche con la componente non di destra del populismo- in Italia, 5Stelle-, interessata all’alleanza con chi può fornirle un progetto non effimero. E tale rafforzamento potrebbe consentire alla sinistra anche di resistere alla marcia indietro in senso liberista dei settori consapevoli del capitale una volta passata la buriana.