“Parigi val bene una messa” recita una celeberrima frase: anche questa volta, a distanza di meno di un anno, si tratta di tante messe funebri, ed ora il numero delle messe è aumentato vertiginosamente. Che Parigi sia colpita per la seconda volta da stragi terroriste islamiche (e questa volta le vittime sono ben oltre cento) non è un caso. Parigi non è il simbolo dell’Occidente cristiano, rappresentato da Roma, non è il simbolo della finanza e del grande capitalismo, rappresentato da New York e da Londra, non è il simbolo della potenza occidentale, rappresentata dalla città americana e dalle città tedesche. La risposta al quesito sarà individuata alla fine del presente scritto. Ora tocca capire come reagire: l’attacco è oltre ogni livello di guardia; è l’offensiva contro l’Occidente, è una vera e propria guerra, preannunziata a gennaio ed ora alla fine impiantata. L’Islam, nella sua versione più estremista, sfida l’Occidente a casa di questi, uccidendo in modo indiscriminato ed in massa innocenti. L’Occidente deve reagire, come chiunque attaccato a casa propria. Non è solo terrorismo, è guerra nel momento in cui l’attacco non è più limitato, come quantità e come obiettivi, ma investe del tutto il Paese aggredito. E’ una guerra peculiare, indirizzata non alla soluzione finale ma a tenere sotto scacco permanente il Paese (o più Paesi, come nel nostro caso). Una reazione è in questo caso del tutto doverosa ed inevitabile. Ma è una guerra, quella di reazione, che incontra due difficoltà. La prima è rappresentata dalla circostanza che con l’immigrazione in massa e l’integrazione degli islamici nel singolo Paese diventa difficile il controllo su di loro, in particolare su coloro che fanno da base ed aiutano gli autori materiali degli atti terroristici. L’altra è rappresentata dalla circostanza che questa è una guerra di religione e di civiltà, che non può non portare ad un conflitto tale da investire in modo generalizzato la totalità dei cristiani e degli islamici. Lo spezzare il blocco islamico trovando l’accordo con i settori islamici moderati è impossibile se il blocco aggredito non mantiene una differenza di civiltà vera, in modo che l’unica differenza sia quella di religione.
La differenza di civiltà e la conseguente guerra di civiltà potrebbero essere dimostrati solo se il Paese aggredito mostrasse un’universalità ed una mancanza di particolarità, il che non riesce al momento all’Occidente, la cui politica estera nel Medio-Oriente si è rivelata fallimentare, con continua alimentazione dei peggiori mostri, poi debellati a favore di mostri anche peggiori, il tutto per convenienze ed in un’ottica imperialista, in cui spicca la lesione dei diritti fondamentali dei Palestinesi. Chi critica la scelta di eliminare Gheddafi ed apprezza il realismo di Berlusconi che era contrario a tal eliminazione coglie un punto importante, ma resta all’interno di una logica di chi si accontenta dei mostri meno peggiori. Le due difficoltà danno il segno dell’inefficacia di una guerra all’estremismo islamico. La seconda difficoltà rende il blocco avversario inattaccabile, mentre la prima impedisce una vera integrazione nell’Occidente alla luce del permanere di una identità islamica ostativa alla fedeltà alla nuova comunità. E’ quindi evidente che la guerra è necessaria, e lo stato di guerra, senza rinunciare ai diritti e senza richiedere la tortura, comporta misure straordinarie e la caccia ai sospetti.
Per inciso, la modifica della Costituzione, richiesta da Hollande, non è necessaria in quanto qualsivoglia Costituzione democratica e garantista consente la dichiarazione dello stato di guerra anche all’interno (art. 78 Cost.), con tutte le misure necessarie, senza operare sospensioni di garanzie e di diritti di libertà non strettamente necessari. Una modifica “ad hoc” della Costituzione è evidentemente finalizzata a restrizioni ulteriori, il che è inammissibile. Chiuso l’inciso, la guerra non è sufficiente. E’ necessaria una linea politica sistematica e globale, coerente e complessiva, che non si risolva nella guerra. La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, ammoniva von Clausewitz, ma si può ben dire il reciproco, vale a dire che la politica è prosecuzione della guerra con altri mezzi. La teoria della politica assoluta vede in questa la conquista pura del potere, e così la divisione in due blocchi, contrapposto l’uno all’altro, non è nient’altro che la divisione amico-nemico di Schmitt. La guerra –in cui irrimediabilmente si risolve la politica assoluta- è evidentemente coerente ad una divisione irrimediabile in blocchi ed è del tutto inefficace nel momento in cui un blocco non può avere il sopravvento sull’altro ma entrambi devono convivere tra di loro.
La guerra santa che l’Islam vuole portare avanti mira non alla conquista del mondo, resa impossibile dalla superiore forza dell’Occidente, ma ad impedire a questi di avere il sopravvento nelle terre islamiche. L’Occidente, d’altro canto, vuole sì avere il sopravvento sull’Islam ma non totale, bensì stabilendo un vassallaggio. In altri termini, i settori dominanti dell’Occidente e dell’Islam puntano ad una guerra di reciproca legittimazione. La guerra non è solo guerra di difesa per l’Occidente, quindi doverosa e giusta, ma rientra in un’ottica bellicista, per ragioni di convenienza economica, tese al controllo del petrolio, od anche di natura prettamente politica, tese al controllo dell’area. L’aggressione o comunque l’ostilità nei confronti dell’Islam sono dell’Occidente che ha avviato l’opera e continua imperterrita in tal senso. Quella dei settori oltranzisti dell’Islam è una ritorsione anche se del tutto incivile. La difesa dell’Occidente dall’Islam è doverosa ma la contesa non è nata per ragioni nobili. Lo scontro di civiltà e i toni da crociata della compianta Oriana Fallaci, ora incredibilmente ripresi, sono del tutto fuori luogo. Il clima anti-occidentale nell’Islam non è privo di basi La superiorità di civiltà dell’Occidente è diventata un fattore di sopraffazione e non di emancipazione. La pretesa di alleanza con i settori islamici moderati è del tutto velleitaria nel momento in cui l’Occidente è mosso da ragioni di dominio, che non a caso portano ad un’obiettiva convergenza con i settori più radicali con cui instaurare una logica bellicista.
E’ bene ribadire che tale logica bellicista è funzionale ad entrambi i campi, guarda caso nelle “élite” al potere dominanti. La svolta politica, per rendere effettiva la difesa dell’Occidente, deve consistere nel rinunziare alla politica di potenza, condannando Israele ed imponendo il ritorno ai confini ante-‘67 con consacrazione di Gerusalemme quale zona franca e riconoscimento dello Stato Palestinese, ma contestualmente con ammonimento a questi di sanzioni pensanti in caso di avallo ad azioni terroristiche contro Israele, ed infine con impegno a non interferire sul petrolio e sulle altre fonti energetiche. E’ una politica nuova non più basata sulla contrapposizione nemico-amico, ma di lotta alle fazioni interne illecite, con la politica quale continuazione e realizzazione del diritto. Il diritto internazionale è la parte più affascinante del diritto, ma anche la più malferma, in quanto per realizzarsi deve eliminare o comunque ridurre al minimo il potere statale (lo comprese a suo tempo Kelsen, che evidenziò che il diritto internazionale è in conflitto con la sovranità statale ed alla lunga porta all’eliminazione o comunque al forte ridimensionamento di questa), ma ora è arrivato il suo momento. La guerra deve essere espunta dalla politica internazionale, con riflessi su quella interna, in quanto la guerra compatta il paese all’interno, eliminando i conflitti di classe. Per concludere, Parigi è stata scelta quale simbolo dell’illuminismo, del razionalismo, della tolleranza, del materialismo e del socialismo, per sotterrare definitivamente tali valori e ridurre l’Occidente alla pura potenza: per realizzare tale lucido disegno è necessario consegnare la Francia alla destra di Le Pen. Si può ribattere che, al contrario, Parigi è stata scelta per la politica di guerra della Francia alla Siria, per punizione e contestualmente invito a desistere, ma è facile disfarsi dell’obiezione, evidenziando che era immaginabile che non si sarebbe riusciti in tale intento, e si sarebbero compattati la Francia e l’Occidente nel senso della guerra.