TUTTE BUGIE!
Per quanto possa sembrare impossibile, la semplice verità è che tutto,
assolutamente tutto, ciò che si legge, si vede e si sente sui media intorno al
tema di come “rassicurare” i mercati, come “salvare l’Italia” in questi frangenti e
quali “sacrifici” è meglio fare allo scopo, è destituito del minimo fondamento
scientifico e risponde a una logica di esclusivo favore verso la elite creditiziofinanziaria
e i ceti possidenti, unici responsabili della nostra entrata in crisi e
del nostro non riuscire a uscirne.
1)in primo luogo va considerato che è del tutto assurdo affidare la fissazione
del saggio di interesse da pagare sui bot ad un mercato speculativo come
quello finanziario, che si muove per “pretesti” e non per “cause” e nel quale
pochi gruppi internazionali muovono quantità gigantesche di denaro
moltiplicate dal credito alla speculazione creando dei trend sulla cui scia si
accodano tutti gli altri speculatori e tutti i rentiers più attenti, realizzando ogni
volta altrettante “profezie che si autoavverano”. Ne discende che in questi casi
non c’è assolutamente nulla che possa fare un governo per invertire il trend
speculativo per la semplice ragione che nessun paese dispone di capitali
sufficienti per anche solo impensierire gruppi finanziari che hanno già
scommesso somme gigantesche e non intendono certo rinunciare al ricco
bottino che li attende. Nulla, tranne che vietare o sospendere le contrattazioni
di borsa o sottrarre quel valore, valuta, titolo o commodity al mercato
finanziario e trattarlo solo privatamente.
2)va anche saputo che quando il rischio insolvenza del debito pubblico di un
certo paese viene stimato in crescita, sale corrispondentemente la quotazione
dei Credit Default Swap, ovvero delle assicurazioni sulla insolvenza statale di
quel determinato bond, e questo comporta la decrescita parallela del suo
prezzo d’asta, che è pari alla somma tra il prezzo del bond di riferimento (oggi,
il bund tedesco) più il prezzo del cds che in quel momento qualunque
acquirente dovrebbe pagare se volesse assicurare il suo bond contro
l’insolvenza dello stato che lo ha emesso (popolarmente chiamato “spread”).
Chi acquista i bond può infatti scegliere tra comprare al prezzo d’asta e
assicurarsi contro il default al prezzo del giorno del suo cds, oppure non
assicurarsi e lucrare in proprio lo spread. Di qui anche l’interesse delle banche
a scommettere “contro” i cds, e quindi lo spread, e perfino contro sé stesse in
quanto titolari di bond “screditati”, onde lucrare uno spread sempre maggiore
che sanno in realtà privo di fondamento! Per farlo, contano sulla complicità
attiva delle agenzie di rating, sulla copertura omertosa della scienza, nonché
su quella dei media e dei politici.
3)Per comprimere l’interesse da noi pagato sui bot attraverso un prezzo d’asta
di, poniamo, 92 anziché 98 dovremmo scavalcare i mercati finanziari
modificando la norma statutaria che vieta alla BCE di fare prestiti diretti ai vari
Tesoro, ma per farlo ci dovremmo scontrare, da un lato, contro le banche che
partecipano al lauto “banchetto” lucrando in proprio lo spread, con la Goldman
Sachs e gli altri colossi bancari USA che emettono i cds speculativi, ovvero le
scommesse rialziste sullo spread, e con la BCE spa, che guadagna l’1,25% su
ogni euro che prima crea elettronicamente dal nulla e poi presta alle banche
perché possano acquistare i nostri bot a 92, dividendo poi questo bottino con
le varie banche centrali, che, a loro volta, lo dividono poi pro quota con le
banche private e gli stati loro azionisti (la BdI, ad esempio, è al 66% di
Unicredit e Intesa)! Un bottino da 80 Mld l’anno! Dall’altro lato, ci
scontreremmo con scienza, media e politici soggetti agli interessi di questo
mondo, poichè dovremmo riformare l’architettura creditizio-finanziaria, il
sistema tributario ed i rapporti internazionali per conseguire il controllo
democratico di moneta, banche e borsa nel pareggio tendenziale dell’importexport
e nella giustizia fiscale.
Ed invece, variamo una finanziaria recessiva dopo l’altra, tutte
assolutamente inefficaci perché operanti a valle anziché a monte e perché,
Keynes lo insegna, comprimono recessivamente il PIL in misura almeno
quadrupla rispetto ad ogni sacrificio gravato sui consumi pubblici e privati,
aggravando quel rapporto debito/PIL che alleviano nell’immediato e
comprimendo pure le entrate tributarie (oltre 40% del PIL) di 1,6 volte ogni
“sacrificio”! Solo i sacrifici gravati sui ceti possidenti e sui risparmi non
sortiscono questo effetto boomerang, ma la “scienza” viene in loro soccorso
sostenendo che tassare i super-ricchi li spaventerebbe e farebbe crollare gli
investimenti, nonostante la clamorosa evidenza che mentre ogni anno gli
investimenti produttivi necessari per produrre il nostro PIL (1.590 Mld, al netto
degli oneri finanziari, nel 2009) ammontano ad appena 80 Mld, i risparmi
annui, che dipendono dalla distribuzione sperequatissima del reddito, si
attestano su oltre 350 Mld e la ricchezza mobiliare inutilizzata (il nostro
“grasso”) supera ormai i 3.000 Mld! Ecco perché il pensiero pseudo liberista
ancora egemone, il così detto Pensiero Unico in economia, cerca di
accreditare l’idea idiota per cui la base produttiva la si promuoverebbe
aumentando la nostra efficienza produttiva, anche se solo “stracciona” perché
conseguita su solo fronte dei costi di produzione, inclusi quelli che mentre
costituiscono un costo per le imprese, sono nel contempo un reddito che viene
speso sul mercato interno per consumi pubblici (spese pubbliche, in specie
welfare) e privati (retribuzioni). Al solo vantaggio dei ceti possidenti, si cerca
infatti di convincere gli imprenditori che questa maggiore competitività
“stracciona” risponde al loro interesse, e l’intera società civile che essa
risponde al “supremo interesse comune”, mentre dovrebbe essere evidente a
tutti che nessun uomo sano di mente investirebbe e assumerebbe di più solo
perché costa di meno farlo, quando non fosse profittevolmente collocabile sul
mercato quella maggiore offerta che andasse a produrre pur a costi inferiori.
Solo quando aumenta la domanda effettiva di beni e servizi sul mercato
interno al saldo dell’export-import, gli imprenditori trovano conveniente
investire e assumere di più per produrre la maggiore offerta che soddisfa la
maggiore domanda. In caso contrario, si può anche regalare loro i soldi ma
non li impiegheranno mai per avere una produzione aggiuntiva che resta
invenduta! A chi poi pensasse che una maggiore competitività “stracciona”, se
pure non spendibile all’interno, sarebbe almeno spendibile sui mercati
internazionali, ricordiamo:ç a)che gli accordi di cartello impediscono alle
imprese che partecipano il medesimo trust di ribassare i prezzi di
commercializzazione rispetto a quelli fissati in cartello al diminuire dei propri
costi di produzione; b)che non è comunque battibile sul fronte dei costi la
concorrenza “sleale” delle multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo
dove producono sottocosto nel massimo dispregio della natura e dell’uomo per
poi rivendere al nord il 95% della produzione così ottenuta; c)che l’euro “forte”
nullifica comunque nell’export-import qualsiasi incremento di competitività
conseguito sul fronte dei costi.
Non è possibile promuovere gli investimenti produttivi, la occupazione e il PIL
semplicemente acquisendo maggiore competitività “stracciona”, ovvero
perseguita sul solo fronte del costo del lavoro: in assenza di stabile aumento
degli sbocchi profittevoli di mercato, infatti, non possono mai aumentare gli
investimenti e l’occupazione solo perché meno cari di prima, poiché non
sarebbe profittevolmente collocabile sul mercato quella maggiore offerta che si
andasse a produrre con quei pur meno cari investimenti e occupati aggiuntivi.
E’ questo l’equivoco di base nel quale cade il Pensiero pseudo-liberista oggi
dominante: credere che sia promuovibile la base produttiva contraendo i costi
anziché promuovendo la domanda sul mercato interno! Un equivoco
funzionale a difendere la distribuzione ineguale del reddito. Difendere il
risparmio, infatti, serve a difendere chi possiede denaro, e la migliore difesa è
quella “tecnica”, che spaccia l’interesse di classe dei ceti possidenti per il
“supremo interesse della nazione”, anche calpestando la logica più elementare
e mentendo senza il minimo ritegno!
Altro che governo “tecnico”, dunque! Ed un governo che non tocca gli
spaventosi interessi che lucrano le banche (con cui è in evidente conflitto di
interesse) per la loro inutile e ben scavalcabile intermediazione operata tra la
BCE e il Tesoro attraverso i mercati finanziari, e non tocca nemmeno i superricchi
(idem), non può che gravare le sue finanziarie sui consumi popolari
pubblici e privati, anche se sa bene che farlo non ha il minimo senso almeno
perchè pure la recessione che ne deriva è un ottimo pretesto usabile dalla
speculazione internazionale ribassista contro il nostro paese!
Si danno invece ben cinque possibilità alternative rispetto alle finanziarie
“rigorose” volte a “rassicurare” i mercati:
1)una partecipata acquista le quote della BdI detenute da Intesa e Unicredit
(66%) e vota il prestito (all’1,25%) dalla BCE alla BdI degli euro che servono
alla BdI per acquistare all’1,26% non solo il 3,6% appena che oggi acquista,
ma tutti i bot rimasti invenduti ai privati italiani (87,3%). In questo modo, si
sottraggono i bot alle bizze dei mercati finanziari e l’avanzo primario si riduce
da 80 a 70 Mld, con ovvi vantaggi per le casse pubbliche e le sue capacità di
spesa. Nel contempo, detenendo il controllo della BdI, il governo può
finalmente controllare il credito in funzione dell’interesse collettivo e può
calmierare pure spese e interessi praticati ai privati sul mercato nazionale,
recedendo da Basilea 3 e comprimendo buona parte dei 130 Mld di oneri
finanziari che gravano attualmente sul nostro PIL netto (1.590 Mld, nel 2009).
2)una partecipata acquista con una OPA i pacchetti di maggioranza di alcune
grosse banche private italiane, almeno Intesa e Unicredit, acquisendo con ciò
stesso il controllo della BdI, e, a cascata, il controllo dell’intero credito
nazionale, magari trattenendo i soli rami d’azienda commerciali delle banche
acquisite e rivendendo i loro rami d’azienda finanziari. Le banche commerciali
acquisite acquistano all’1,25% gli euro che servono per acquistare i bot dal
Tesoro italiano all’1,26%, facendo risparmiare 70 Mld allo stato italiano, ed
altresì recedono unilateralmente dagli accordi di Basilea 3 onde praticare
condizioni concorrenziali a imprese e privati sul mercato nazionale, così
calmierando gli oneri finanziari privati oggi pagati (130 Mld).
3)viene ricreato il nostro grosso polo bancario pubblico attraverso la
revocatoria penale/civile della criminale svendita delle nostre 4 ex banche
pubbliche collocatarie dei nostri bot, avvenuta bipartisan dal ’94 in poi a prezzi
sottomultipli dei bot ivi collocati, e si fa loro acquistare i bot invenduti ai privati
cittadini all’1,26% con gli euro ricevuti in prestito dalla BCE all’1,25%. In più,
questo ricostituito polo bancario pubblico praticherà commissioni, spese e
interessi calmierati a imprese e privati sul mercato interno del credito,
recedendo unilateralmente da Basilea 3, facendo risparmiare alle famiglie e
alle imprese buona parte dei 130 Mld attualmente “bruciati” in interessi.
4)viene modificata la norma statutaria che vieta alla BCE il prestito diretto ai
vari Tesoro degli euro che servono per coprire i loro disavanzi pubblici e
prestano loro questi euro allo 0,01%, azzerando i disavanzi oggi necessari per
pagare gli onerosissimi interessi sui bot (circa 80 Mld, per i bot italiani).
5)i PIIGS operano la secessione valutaria e creano la loro moneta comune e la
loro banca centrale, il cui statuto consente quello che la BCE oggi non
concede.
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