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RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI: Sì o NO? Featured

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Diverse discussioni si fanno concorrenza nell’ultima settimana prima della consultazione referendaria. Ciascuno spara la propria convinzione sul web. Ma la riforma, a differenza di quella Renziana molto pasticciata, stavolta è anche insensata. Partendo dal fatto che qualche milione di persone non sa la differenza che intercorre tra una legge ordinaria e la Costituzione, né è interessato a beghe di carattere giuridico normativo, c’è anche un parlamento sempre più spesso svuotato del suo ruolo e un esecutivo che propone nuove leggi a botte di decreti d’urgenza, spesso poco discusse in parlamento in sede di conversione, o lasciati decadere trascorsi i 60 giorni entro i quali andrebbero convertiti in legge, svuotandoli quindi di efficacia retroattivamente. Ora per la quattordicesima volta tocca alla nostra Costituzione essere oggetto di diatribe politiche, ultimamente sempre più prive di senso perché si sa che le maggioranze in Parlamento sono raccogliticce e che il governo non esercita più la sua funzione esecutiva nell’interesse generale e quindi, di conseguenza anche le leggi emanate rispondono a criteri dettati dal vincolo esterno a cui le nostre stesse leggi sono sottoposte. Le ragioni del No, più o meno argomentate, da un punto di vista politico o costituzionale, spesso non riportano in modo esaustivo le motivazioni lasciate a libera interpretazione di chi le esprime e di chi le legge, così come le ragioni del SI sono fondate su ipotetiche possibili riforme ulteriori della Carta costituzionale. Ma ciascuno esprime la propria supposizione seguendo logiche del partito di appartenenza, opinioni personali e anche “speranze”. Chi pensa che la riduzione del numero dei parlamentari possa portare a correttivi democratici della Costituzione nutre una speranza, neanche tanto fondata, non essendoci alcun progetto di modifiche auspicate dai partiti di maggioranza. Quindi non si sa dove si andrà a parare. L’unica cosa “forse” certa, in caso di vittoria del SI, si concretizzerà nel risparmio di qualche centinaio di milioni e nella promessa “mantenuta” da parte del M5S di ridimensionare la casta. Di certo, come previsione del dopo, il nulla. I sostenitori del SI dicono che la riduzione dei parlamentari, pur non essendo una riforma particolarmente necessaria, essa prelude ad aggiustamenti di altri istituti contemplati dalla Costituzione, suscettibili di revisione. Alcune ragioni addotte sarebbero che i parlamentari fossero diventati troppi per ragioni “clientelari” rispetto al numero dei parlamentari di altri stati europei, che molte teste non si mettono d’accordo e vi sono lungaggini per l’approvazione di leggi “necessarie” e che spesso vi è instabilità di governi che cadono, si rimpastano e via dicendo. E che l’instabilità politica porta all’instabilità economica. Vera bufala del momento. Un probabile governo autoritario che potrebbe attuare politiche economiche dannose alla collettività deve cadere. E’ la democrazia, bellezza! Anche se negli ultimi decenni ne abbiamo dimenticato l’esistenza. Un’altra ragione del SI è che così facendo anche le camere dovranno essere differenziate nelle loro funzioni o addirittura c’è chi sostiene che sia sufficiente l’abolizione del Senato che esercita le stesse funzioni della Camera e quindi non avrebbe motivo di esistere. Tralascio altre esplicazioni in merito ai collegi regionali, alla ripartizione iniqua e non proporzionale del numero ridotto dei parlamentari in riferimento alla rappresentanza territoriale, per cui la rappresentanza non rispecchierebbe proporzionalmente lo stesso numero di abitanti tra regioni diverse. Se si volesse fare una vera riforma, si dovrebbe iniziare dall’applicazione dell’art.49, per determinare un “indeterminato” istituto che lo stesso articolo definisce “metodo democratico” mai definito in 73 anni. Articolo 49 mai applicato e partiti, contenitori svuotati da ideologie di carattere politico costituzionale e programmi di indirizzo socioeconomico per il governo. Le sinistre hanno abdicato al loro ruolo e lo Stato ha abdicato all’esercizio del potere sovrano a favore di istituzioni sovranazionali non democratiche che decidono per noi e i nostri rappresentanti in quelle sedi non discutono, ma si limitano a sottoscrivere decisioni su di noi prese da altri. Altra ragione del si, che l'approvazione della riforma porterebbe con sé la modifica della legge elettorale per una migliore scelta dei nostri rappresentanti in parlamento. La legge elettorale si può riformare a prescindere dalle modifiche costituzionali, essendo la stessa una legge ordinaria e quindi approvata con procedura ordinaria (maggioranza assoluta delle due camere). Da anni, la Costituzione è stata attaccata da destra e da sinistra, con riforme peggiorative. Riforma del titolo V che ha introdotto il vincolo esterno nell’articolo117, oltre ad aver creato il caos nell’attribuzione delle materie di competenza. Art. 81 che ha introdotto il pareggio di bilancio. Tralascio altri temi più complessi. Ora passo alla mia considerazione sulla tutela della Costituzione e dei suoi principi supremi. Come rafforzare la Costituzione da attacchi periodici che ne scalfiscono alcuni dei suoi principi. L’art. 138 sulla revisione della Costituzione e di altre leggi costituzionali prevede che siano “adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.” Oltre alla forma repubblicana che non è suscettibile di revisione costituzionale, la sentenza della Corte Cost. n. 1146 del 1988 ha affermato che la Costituzione contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati da leggi di revisione e sarebbero: i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), che al comma 2 sancisce “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, il principio di uguaglianza (art.3), e la tutela del lavoro (art. 4). Articoli già abbondantemente scalfiti da leggi successive incostituzionali, negli ultimi venti anni, con la progressiva privatizzazione della sanità che non si è affiancata, ma ha svuotato gradualmente la sanità pubblica, la riforma delle pensioni e soprattutto, nell’epoca renziana, la tutela del lavoro (jobs act). Se il lavoro non c’è, l’art. 4 non lo può garantire. Ma con la sottoposizione al vincolo esterno non lo si può neanche creare! Alla domanda “come rafforzare la Costituzione da continui attacchi e facili modifiche, alcuni costituzionalisti rispondono che le modifiche, per essere approvate, dovranno essere votate dalla maggioranza dei 2/3. Questa risposta porta con sé la revisione dell’articolo 138 della Costituzione, perché la votazione dei 2/3 farebbe saltare la consultazione popolare. Certo, si presume che se ci fossero dei partiti che candidassero in parlamento soggetti sostenitori dell’interesse generale (definendo cosa voglia dire per la collettività “interesse generale”) non ci sarebbero problemi. Ma la riforma del Titolo V del 2001, voluta dal centrosinistra, ha cancellato il termine “interesse generale” dall’art.117 della Costituzione e quindi l’interesse dei nostri rappresentanti è rivolto a entità sovranazionali che agiscono per una promiscua convivenza sul territorio europeo che non si basa sul benessere collettivo ma sul funzionamento del libero mercato. Il problema sta tutto nell’inesistenza di una classe politica degna di questo nome. Ora, se la nuova legge elettorale non si accompagna ad una regolamentazione dei partiti e i candidati non vengono scelti con metodo democratico, ma dalle segreterie di partito, le chiacchiere stanno a zero. Votare NO, non cambia nulla. La Costituzione andrebbe ripristinata negli articoli già modificati in precedenza e che l’hanno resa vulnerabile ed eludibile e poi, soprattutto, andrebbe applicata e rispettata. Votare SI, potrà cambiare, ma quasi certamente in peggio, nel senso che modifiche alla nostra Costituzione potranno trovare più facile consenso e il popolo non potrà confermare o rigettare la modifica con l’istituto referendario. Il che sminuirà anche ulteriormente la sovranità popolare. I due terzi dei rappresentanti del popolo che non perseguono l’interesse generale (lo conferma il metodo con cui vengono nominati per entrare nelle liste elettorali) non rappresentano più la collettività. La forza espressa dall’art. 138 è stata voluta dai padri costituenti proprio perché una maggioranza “pericolosa” non rovesciasse l’ordine democraticamente costituito e in Italia i poteri massonici e le “entità” sovranazionali sono abbastanza presenti e pericolosi da contaminare una maggioranza di nominati per svuotare di significato la Nostra Costituzione.