IL CIRCOLO Denaro-Merce-Denaro E Denaro-Denaro
Il Pensiero Unico evita il più possibile di fare cogliere la circolarità dei sistemi mercantili. Come vedremo si tratta infatti di una nozione particolarmente pericolosa politicamente perché spinge a indagare come si “chiuda” il circolo della produzione/distribuzione e porta presto a rivedere criticamente sia il sistema fiscale che quello distributivo, come, soprattutto, il tema della Moneta, del credito e della borsa, cogliendo il significato vero dell’attuale architettura creditizio-finanziaria e maturando l’idea del controllo democratico della Moneta e del sistema di fissazione dei listini all’ingrosso, il che comporta la fine di un mondo basato sulla pianificazione centralizzata del capitalismo da parte di una elite parassitaria di cui non si ha alcun bisogno “tecnico”.
Per quanto intuitiva, questa idea, come vedremo nella sezione “come funziona davvero l’economia”, comporta tuttavia un certo grado di astrazione ed il P.U. ne approfitta sviando l’attenzione sul ragionevole argomento per cui si Investe e si Occupa dipendenti quanto meno costa Investire e assumere. Sebbene tutti dovrebbero immaginare che quando il contesto è recessivo nemmeno regalando loro i Capitali gli imprenditori li userebbero per produrre più beni e più servizi, l’assunto ha una sua certa presa intuitiva ed unito a tutta una serie di altri falsi argomenti riesce infine, come vedremo, a radicare una gestal pseudo-liberista nella mente dei profani come dei tecnici, le cui critiche restano nel mondo delle perplessità e finiscono per non diventare a loro volta una gestal alternativa a quella egemone.
GLI INVESTIMENTI
Il P.U. cerca innanzitutto di accreditare l’idea che siano “Investimenti” sia gli impieghi di denaro che consistono nell’acquisto di beni e servizi direttamente strumentali alla produzione per il mercato, sia gli impieghi di ricchezza comunque rivolti all’acquisto di immobili, titoli e valori mobiliari, inclusi gli impieghi esclusivamente speculativi della ricchezza.
A questo punto, insiste nella sua visione ingenuamente mercantile e avanza la tesi per cui gli Investimenti sarebbero funzione inversa dei loro costi (tra cui fa primeggiare il costo del denaro: l’interesse) e non funzione diretta della Domanda interna al saldo dell’Export-Import, com’è invece. La Domanda, per il P.U., sarebbe invece solo fattore di inflazione e questa viene quindi letteralmente demonizzata dal P.U. per convincere, da un lato, della necessità di dare assoluta priorità al suo contenimento, e, dall’altro, che sia possibile perseguire una espansione ad inflazione-zero privilegiando i Risparmi (i ceti possidenti ed i detentori di Capitali) e comprimendo i Consumi popolari interni pubblici (welfare) e privati (retribuzioni) per contrarre progressivamente le imposte sui Redditi da impresa e sui Redditi da Capitale, nonché per ridurre i costi di produzione (retribuzioni, saggio di interesse e imposte) ed acquisire una sempre maggiore competitività (in realtà solo “stracciona”) da spendere sui mercati internazionali.
Un metodo chiamato sinteticamente “bassi salari + Esportazioni”.
EXPORT - IMPORT
Nella logica del P.U. bisognerebbe tenere bassa la Domanda interna per contenere l’inflazione e i costi di produzione, sfruttando questa competitività relativa (in realtà solo “stracciona”) per fondare lo sviluppo sul saldo attivo Export-Import. Peccato che così agendo tutti, nessuno “fa da locomotiva” e si contrae la Domanda internazionale a disposizione delle imprese, provocando e alimentando indefinitamente la recessione internazionale! Il proposito è del resto fratricida e potenzialmente guerrafondaio in quanto chiede alle proprie maestranze e all’intera società civile di condividere il progetto di contrarre all’interno retribuzioni e welfare pompando oltretutto i privilegi dei ceti possidenti, al fine di sottrarre agli altri popoli quanti più Capitali è possibile e contrarre i costi interni al punto da battere la concorrenza di quei paesi che non riescono a fare altrettanto, Esportando in essi, insieme ai propri beni ed ai propri servizi, anche tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne implica la mancata produzione nazionale che si va soppiantare con le proprie Esportazioni.
L'INFLAZIONE
Per il P.U. l’inflazione è il pericolo numero uno dell’economia capitalistica. L‘inflazione, a suo avviso, renderebbe infatti meno competitive le imprese nazionali sul fronte dei prezzi, farebbe fuggire i Capitali dall’Italia e scatenerebbe la speculazione ribassista in borsa su titoli ed euro. Il P.U., dunque, parte dal presupposto che non si debbano reintrodurre i tradizionali controlli e vincoli antispeculazione, ma si debba mantenere la più assoluta “deregulation” valutaria e borsistica voluta a Maastricht, una scelta che comporta la rinuncia volontaria ad ogni controllo centralizzato del cambio della Moneta e costringe alle sole scelte “gradite” a detentori di Capitali ed ai ceti possidenti, pena le fughe e la successiva disintegrazione di cambio e borsa. Come vedremo nella sezione “come funziona davvero l’economia”, non solo ciò non è affatto ovvio, ma è in realtà una scelta suicida dal punto di vista capitalistico perché costringe alla deflazione recessiva indefinita al fine di evitare una evitabilissima … recessione inflattiva!
Il P.U. distingue quindi tra un inflazione da Domanda, una inflazione da costi interni o importati e una inflazione da Moneta.
L’inflazione da Domanda viene spiegata in termini assolutamente banali. Si dice infatti che poiché quando la Domanda scende il prezzo scende e quando la Domanda sale il prezzo sale, nelle fasi espansive, poiché è la Domanda che salendo sta “riscaldando” l’economia, i prezzi rischiano di salire da un momento all’altro. In barba al liberismo di facciata, il P.U. consiglia quindi alle autorità centrali di intervenire immediatamente al primo accenno di inflazione contraendo deflattivamente la Domanda interna onde fare cessare la tensione esercitata sui prezzi dalla Domanda, ridando fiato ad essa solo quando i prezzi sono nuovamente sotto controllo. E’ questo il così detto “stop and go”. Peccato però che nell’esclusivo interesse di Rendita e ceti possidenti, in genere si vedono solo gli stop e quasi mai i go! L’argomento peraltro assomiglia a quell’altro per cui bisognerebbe smettere di fare l’amore al primo accenno di ipertensione per ricominciare a farlo solo quando la pressione è tornata normale. Meglio così, dunque, non farlo affatto!
L’inflazione da costi consiste nella traslazione dei maggiori costi sui prezzi di vendita da parte dei produttori. Questi costi possono essere esterni alla economia di riferimento come interni ad essa. Nel primo caso (v. gli aumenti petroliferi o delle materie prime) non ci sarebbe nulla da fare se non rinunciare a parte delle proprie Importazioni. Nel secondo, invece, potrebbe intervenire lo stato contraendo altri costi di produzione quali il welfare o le retribuzioni, piuttosto che … l’incidenza percentuale delle corruttele politiche sulla spesa pubblica. Di qui il giustizialismo qualunquista-autoritario e reazionario. Il P.U., di chiare simpatie politiche, punta da sempre l’attenzione soprattutto sulle retribuzioni giungendo perfino a sostenere che le indicizzazioni automatiche sarebbero … fattore di inflazione, il che ha la stessa dignità scientifica del sostenere che sia l’apertura degli ombrelli la effettiva causa della pioggia!
Oggi che retribuzioni sono ai minimi storici degli ultimi 50 anni, il P.U. ha il buon gusto di non chiedere contrazioni dirette delle retribuzioni ma ripiega in genere sulla loro contrazione indiretta conseguita attraverso la progressiva precarizzazione del lavoro e la contrazione del welfare finanziato con le imposte su Profitti e Salari.
L’inflazione da Moneta ha ancor minore dignità scientifica. L’assunto in discorso consiste infatti in poco più che una ipotesi di scuola, in quanto sostiene che se si raddoppia la Moneta in circolazione si mettono in moto meccanismi che portano progressivamente al raddoppio dei prezzi. Nonostante l’assunto abbia ìuna ingenua plausibilità istintiva, esso è destituito del minimo pregio scientifico in quanto induce l’idea di una fantasiosa immissione non-classita di Moneta nel circuito Denaro-Merce-Denaro, laddove, come vedremo, non esiste alcun “serbatoio” in cui giaccia la Moneta in attesa che una sorta di pompa idraulica pubblica la aspiri per irrorare la popolazione in modo imparziale. La verità è invece la più classista immaginabile e il suo studio è proprio uno dei temi centrali della nostra analisi, i cui risultati fondano il nostro stesso ubi consistam.
Basti qui anticipare: 1)che il 99% della Moneta usata negli scambi è creditizia e che viene creata dal nulla elettronicamente dalle banche private grazie al privilegio della “riserva frazionaria”, nonché da loro tesaurizzata a costo-zero alla restituzione grazie al “reflusso bancario”, e, ancora, che la Moneta creditizia “allo scoperto” oggi in giro per il mondo è tanta che potrebbe comprare (senza pagare) circa 5 volte l’intero pianeta! 2) che anche i titoli borsistici, inclusi quelli autoreferenti e perfino i derivati speculativi costituiscono una Moneta anch’essa virtuale e le cui dimensioni sono decine di volte maggiori rispetto alla Moneta creditizia.
IL CAMBIO
Del cambio il P.U. spiega che esprime il “prezzo” della valuta nazionale in rapporto al “prezzo” delle altre valute e che si distingue tra cambi fissi e cambi variabili, laddove il cambio può essere lasciato al libero incontro della Domanda e Offerta di una certa valuta (ancghe solo speculative) sui mercati internazionali, può essere concertato tra vari paesi o essere ri-fissato d’autorità da un singolo paese in funzione delle sue decisioni di politica commerciale.
Quando si opta (come si è fatto a Maastricht) per la più assoluta “deregulation valutaria”, l’afflusso e il deflusso di Capitali da e per la UE comporta una corrispondente variazione della Domanda e dalla Offerta di euro sulle varie borse, che, insieme al flusso parallelamente generato dalle transazioni mobiliari speculative, fa variare in più o in meno la “bilancia dei pagamenti”. Sommando a queste variazioni anche quelle determinate dalle transazioni valutarie contro-merci (L’Export-Import effettivo), che si registrano nella così detta “bilancia commerciale”, abbiamo l’importo assoluto della domanda e della Offerta di euro ed è questo che determina il suo prezzo, ovvero il valore del cambio in ogni momento.
Va però saputo che già solo le multinazionali hanno in portafoglio più valute di quante ne posseggano di riserva tutti gli stati del mondo messi assieme e che grazie alla liceità del credito alla speculazione si realizza un “effetto leva” che consente di mimare vendite e acquisti decine di volte maggiori rispetto al Capitale impeigato,il che ha consentito, ad esempio a Soros, di materializzare dal nulla circa $ 500 Mld per scommettere improvvisamente al ribasso nel ’94 contro lira, sterlina irlandese e peseta, travolgendo qualsiasi difesa nazionale e inter-statale. Ne discende che se si opta per la deregulation non è più possibile approntare nessuna difesa contro il cambio della propria valuta se non quella che consiste nell’adottare le sole scelte “gradite” ai detentori di cespiti mobiliari, e, dunque, come vedremo, scelte di privilegio fiscale verso i redditi da Capitale e i patrimoni e manovre deflattive (anti-inflazione), le quali, implicando tagli dei Consumi interni pubblici e privati, sono necessariamente anche recessive.
Il P.U. sostiene quindi che simili scelte risponderebbero anche all’interesse collettivo in quanto farebbero affluire Capitali dal resto del mondo “pompando” euro e borsa, mantenendo nel contempo bassa l’inflazione e basso il saggio di interesse. Se ne avvantaggerebbe la competitività internazionale (pur “stracciona”) delle nostre imprese, mentre un basso saggio di interesse renderebbe meno gravoso il peso degli interessi passivi sul debito pubblico pregresso e il costo degli Investimenti. L’euro “forte”, infine, sarebbe un grande vantaggio perché renderebbe più a buon mercato i viaggi all’estero e le Importazioni necessarie quali gli acquisti di materie prime ed energia.
Per l’assoluta inconsistenza scientifica di questi argomenti si rimanda alle corrispondenti voci della sezione “come funziona davvero l’economia”. Qui basti fare mente locale su due questioni: 1)che per economie di trasformazione quali quella italiana, l’euro “forte” è un vero boomerang perché rincara sul fronte dei prezzi il made in Italy molto di più di quanto lo renda meno costoso il minore prezzo pagato per le materie prime e l’energia, facendo peggiorare continuamente il saldo della bilancia commerciale; 2)per mantenere invariata la competivitià relativa di due paesi a diversa inflazione interna, basta optare per il regime dei cambi concertati e svalutare il cambio della valuta del paese a più alta inflazione in misura pari al differenziale di inflazione.
Per le politiche alternative praticabili si rimanda alla medesima sezione ed alla sezione “l’alternativa per un capitalismo sostenibile”
LA MONETA
Sulla Moneta il P.U. cerca di dire il meno possibile, accreditando l’idea che essa sarebbe uno strumento “neutro” al pari dei kg, dei litri e dei km, che sia statale o comunque sotto stretto controllo statale. Si dilunga quindi sugli aspetti storici al solo fine di vantarne l’estrema utilità (che nessuno mette in discussione) rispetto al baratto, e, infine, per introdurre i moderni strumenti di pagamento bancario. Ciò che il P.U. tiene a precisare è solo che la circolazione di Moneta va sempre tenuta sotto stretto controllo per evitare che si verifichi una “inflazione da Moneta”. Vedremo invece che la Moneta è essenzialmente una Moneta cartolare e creditizia privata, laddove, per giunta, pure i dollari e gli euro sono in realtà in massima parte privati perché proprietà, rispettivamente, del consorzio privato della Federal Reserve e della privata BCA spa, il cui capitale è costituito da varie banche centrali che a loro volta sono private (come la BdI), pubbliche o miste.
IL CREDITO
Dopo avere sostenuto che le banche svolgono il prezioso ruolo di raccolta dei Risparmi dalle famiglie per consentirne il trasferimento alle imprese sotto forma di prestiti per gli Investimenti, il P.U. sostiene che il saggio di interesse sarebbe il “prezzo” della Moneta che si realizza nel mercato dei Capitali per effetto del libero incontro della Domanda e della Offerta di Moneta. In primo,luogo, però, evita accuratamente di rivelare che, conti alla mano, mentre i Risparmi di fine-ciclo sono di media circa il 20% del PIL, gli investimenti produttivi sono circa 5 volte meno, ovvero appena il 3-5% del PIL! In secondo luogo, evita pure di ammettere che l’Offerta di Moneta creditizia è ormai quasi totalmente indipendente dai depositi dei correntisti. L’attuale livello di integrazione bancaria e l’uso generalizzato di Moneta elettronica hanno da tempo ridotto a frazioni infinitesime la percentuale di riserva prudenziale che le banche dovrebbero mantenere per evitare la bancarotta ove si diffondesse il panico tra i correntisti. Se teniamo buone le percentuali fissate a Basilea2 (valevoli solo per le piccole banche, non certo per i colossi bancari azionisti di controllo delle banche centrali a loro volta azioniste di controllo della BCE) si parla, a seconda degli impieghi, di una percentuale di riserva del 2% rispetto … al capitale sociale, non rispetto ai depositi! Questo significa due cose: a)che la percentuale di riserva non è “liquida”, consistendo in massima parte di immobili e titoli, e non di depositi; b)che le banche possono lecitamente prestare anche Moneta che non esiste nelle loro casse purchè il suo ammontare massimo sia contenuto in quell’importo il cui 2% è pari al loro capitale sociale: se esso è pari a € 1 Mld, potranno creare all’istante fino a € 49 Mld di Moneta elettronica e prestarla ad interesse, se 100 Mld, 4.900 Mld, e così via. E si calcola che la Moneta bancaria creata “allo scoperto” dalle banche private di tutto il mondo grazie a questo meccanismo moltiplicatorio virtuale (la così detta “riserva frazionaria” o “moltiplicatore bancario”) ed oggi in giro per il pianeta è così tanta che potrebbe comprare (senza pagare) circa 5 volte l’intero pianeta!
Per completezza va aggiunto che in forza di una convenzione contabile internazionalmente accettata le banche possono contabilizzare nei loro bilanci questa Moneta elettronica allo stesso modo di come contabilizzano i prestiti fatti con Moneta propria, ovvero iscrivendo al passivo l’importo mutuato (perché si sono impegnati verso i beneficiari del correntista a fare fronte ai suoi mandati di pagamento fino all’importo mutuato) e quindi iscrivendo il medesimo importo anche all’attivo (perché il mutuatario si è impegnato a restituire alla scadenza l’importo mutuato), con la conseguenza che alla restituzione annulleranno le due poste ed iscriveranno nel conto profitti e perdite solo la voce “interessi” pagando su di essi soltanto le relative imposte. Non distinguendo tra Moneta “propria” e Moneta non-propria “creata elettronicamente”, però, cosa accade alla restituzione? Accade che se in caso di liquidi propri non c’è nulla da ridire, in caso di Moneta non-propria e creata elettronicamente, non dovendo scrivere un bel nulla nel conto profitti e perdite e potendola iscrivere come se niente fosse nel loro stato patrimoniale, se ne appropriano in perfetta legittimità a costo zero ed esentasse (così detto “reflusso bancario”)!
E tutto ciò tacendo della prassi di creare una quantità di società operative apparentemente indipendenti ed in realtà “sorelle” delle banche finanziatrici, che possono così operare sul mercato con dotazioni pressoché infinite e a costo-zero praticando concorrenza “sleale” rispetto alle imprese indipendenti dal loro sistema integrato di banche, assicurazioni e imprese mercantili operanti sui mercati internazionali. Va sotto il nome di “signoraggio creditizio” il gigantesco introito derivante dal doppio privilegio concesso alle banche private dalla “riserva frazionaria” e dal “reflusso bancario”. Un introito gigantesco da cui discende un potere economico, politico e sociale altrettanto gigantesco. Un potere che va difeso ad ogni (altrui) costo da ogni possibile istanza di controllo democratico e che presuppone il silenzio omertoso di scienza, media e politici, ovviamente “pagato”.
Orbene, il P.U. giustifica il meccanismo del moltiplicatore dei depositi come derivante dal sistema bancario nel suo complesso e poi, negando nel modo più deciso la esistenza del reflusso bancario, nega che il sistema crei una Moneta creditizia che non venga poi nullificata alla restituzione. I suoi argomenti però sono inconsistenti dal punto di vista contabile e fattuale e sono solo il disperato tentativo di accreditare l’immagine “neutra” del sistema bancario e bloccare alla radice ogni possibile istanza di riforma dell’attuale architettura creditizio-finanziaria, e, quindi, della piramide di privilegi ad essa connessa.
Si rimanda per una disamina più puntuale alla corrispondente voce della sezione “come funziona davvero l’economia”.
LA BORSA
Della borsa il P.U. dice soprattutto due cose:
1) che costituisce per le imprese un prezioso mercato ancillare dei Capitali, in aggiunta al tradizionale canale creditizio;
2)che costituisce anche una sorta di prezioso e attendibile “termometro” della economia di un paese, rivelando in tempo reale le reazioni dei mercati alla correttezza delle scelte operate da stati e imprese.
Evita invece di ammettere che solo le grossissime imprese ne riescono ad usufruire efficacemente e che si tratta di un mercato non-concorrenziale dalle reazioni isteriche e governato da pochi operatori internazionali capaci di scommettere a credito, al rialzo come al ribasso, somme tali da determinare ogni volta che si muovono altrettante “profezie che si auto avverano”. Un “tavolo verde” inutile, pernicioso e per giunta truccato, dunque! Chi userebbe un termometro che al minimo accenno di febbre segnasse 45 e al minimo segnale di guarigione 30? Chi può ormai fidarsi di un mercato dove stati e imprese sono accreditate al massimo grado dalle agenzie internazionali di rating sino al venerdì e il sabato presentano i libri in tribunale o vanno in default?
Va poi considerato che in borsa circola una gigantesca massa di titoli che non sono affatto rappresentativi di ricchezza “reale” perché incorporanti solo una scommessa (derivati speculativi, futures, options e simili) o che lo sono solo in minima parte per essere quotati molto di più rispetto al valore proporzionale cui danno diritto in sede divisionale, o sono solo dei junk bond e dei titoli autoreferenti perché ad esempio agganciati solo ad indici. Per ogni barile fisico di petrolio, ad esempio, si calcola che nel 2009 ne passavano di mano di “virtuali” come derivati speculativi sul petrolio ben 100.000 (1.250 del 2006), laddove più o meno lo stesso accade per altre 17 commodities. Una vera e propria “bolla speculativa” le cui dimensioni sono tali, come vedremo, da potere comprare (senza pagare) almeno 50 volte l’intero pianeta-terra! Una gigantesca Moneta cartolare “allo scoperto” che si somma alla Moneta creditizia “allo scoperto” e rende ridicola l’affermazione perentoria del P.U. per cui esisterebbe un rigido rapporto 1:1 tra la Moneta e ciò che essa compra, che vigilerebbero su di esso le autorità monetarie e le banche centrali, e, ancora, che se questo rapporto si dovesse per qualsiasi ragione perdere, scoppierebbe una inflazione tanto devastante da disintegrare il mercato monetario. Per un approfondimento si rinvia dunque alla corrispondente voce della sezione “come funziona davvero l’economia”.
IL SISTEMA FISCALE
Sul sistema fiscale il P.U., dopo avere dato una serie di banali informazioni tecniche, sostiene ancora che sarebbe buona regola di governo tendere al pareggio di bilancio, ovvero curare che di media le entrate pubbliche (in massima percentuale entrate fiscali) pareggino le uscite pubbliche almeno nel giro di non molti anni. Ammette tuttavia che, da un lato, ciò purtroppo appartiene ormai alla preistoria dei bilanci pubblici, e, dall’altro, che risponde a buona amministrazione accendere debiti pubblici non solo per fare fronte a situazioni eccezionali, ma anche semplicemente per tirare fuori il paese da una fase di recessione profonda e quando l’inflazione è sotto controllo. E’ questa la politica dei così detti “stop and go”: go, quando c’è recessione e l’inflazione è sotto controllo, stop quando l’inflazione ricomincia a salire, recessione o non recessione. Il P.U., comunque, nell’interesse e nell’ottica dei soli ceti possidenti, manifesta estrema ostilità verso il debito pubblico (v. voce relativa) e suggerisce di fare quadrare il bilancio aumentando le entrate pubbliche, fiscali e non fiscali, o tagliando la spesa pubblica, quella sociale in primis, accusata di essere “improduttiva”.
Sulla politica fiscale, poi, il P.U. sostiene che il prelievo dovrebbe essere il minore possibile sui Redditi da Capitale (oggi gravati da uno scandaloso 12,50% che diventa zero% se i titoli restano abbastanza in portafoglio prima di essere ceduti nuovamente) e sui patrimoni (oggi, zero), e comunque basso sui Redditi da Capitale (oggi gravati dal 50% in su nel caso delle imprese medio-piccole, quelle che meno ricorrono a strumenti sofisticati di abbattimento legale dell’imponibile). Ecco perché oggi i Redditi da lavoro sono gravati con uno scandalosissimo 20-25% che diventa addirittura un 40-45% nel caso di stipendi sui € 25.000 annui. L’idea di base è infatti che i “Risparmi” vanno favoriti per 1)contenere deflattivamente la Domanda interna e 2)fare aumentare l’Offerta di Capitali sul mercato della Moneta, tenendo così basso anche il saggio di interesse, e 3)favorire gli Investimenti rendendo nel contempo 4)più competitive le imprese nazionali.
Tagliando la spesa sociale e tollerando nel contempo una forte incidenza percentuale della corruzione politica e amministrativa sulla spesa pubblica per fidelizzare la casta politica a queste stesse scelte, nonchè gravando le imposte quasi esclusivamente su lavoratori, pensionati, ceti medi e imprese, il saldo costi/benefici diventa sempre più passivo per il mondo del lavoro (Profitto + Salario) e favorevole solo alla Rendita e ai tradizionali ceti possidenti, peraltro seminando, prima, ed alimentando, poi, la trappola della non-rimborsabilità del debito pubblico in cui siamo ormai prigionieri da troppo tempo (v. appresso e voci correlate).
A questo sfacelo va pure aggiunto il paradosso della evasione fiscale italiana per cui oggi la nostra pressione tributaria è, al netto della evasione fiscale, circa 3 punti percentuali sopra la media UE e, al suo lordo, … ben 20 punti sopra! Come dire che se domani tutti gli evasori fossero presi da una resipiscenza ipnotica e confessassero spontaneamente i loro veri imponibili occorrerebbe immediatamente ridurre di almeno un terzo le imposte nominali per evitare il collasso dell’intera economia nazionale!
Corruzione, criminalità ed evasione servono altresì a deviare le critiche in senso ingenuamente giustizialista o perfino qualunquista-autoritario, e, dunque, reazionario. Anche su questi temi si consiglia però di rivolgersi alle corrispondenti voci della sezione “come funziona davvero l’economia”.
IL DEBITO PUBBLICO
Per il tema del debito pubblico vale quanto esposto alla voce “il sistema fiscale” di questa sezione, ma vale la pena precisare che per il P.U. il debito pubblico è sempre eccessivo, qualunque sia il suo valore assoluto o percentuale. Era eccessivo negli anni ’60 e70, quando oscillava intorno al 50-60% rispetto al PIL, e lo è stato anche dopo, quando negli anni ’80 questo rapporto ha preso a peggiorare al ritmo del 3-5% aggiuntivo annuo, partendo dal 59,9% del 1981 fino a raggiungere il 107,7% nel ’92, e, quindi, il picco del 123,3% nel 1995, oscillando poi fino al 118% attuale. Va dunque innanzitutto considerato che sono infondate le accuse rivolte dal P.U. alla prima repubblica di avere causato questo indebitamento con il proprio assistenzialismo clientelare. Il suo “sistema”, infatti, nasce negli anni ’50 e si struttura nel corso degli anni ’60, non negli anni ’80-’90, mentre l’indebitamento comincia a salire velocemente solo negli anni ’80. In secondo luogo, rileva che la voce “interessi sul debito pubblico” cresce al crescere dell’indebitamento ed è gioco forza che a un certo punto cominci comunque a gravare troppo per essere pagata con le partite correnti, il che avviene proprio negli anni ’80. In terzo luogo, soprattutto, va considerato che gli strumenti della finanza “creativa” hanno il loro boom proprio nel corso degli anni ’80 e da allora cominciano a vincere le istanze della Rendita per un trattamento di particolare favore verso i Redditi da Capitale! Tassando solo al 12,50% i Redditi da Capitale, tra il 20 e il 45% le retribuzioni e le pensioni medio-basse e dal 50% in su i redditi da impresa mentre cresceva il peso corrente degli interessi sul debito pregresso, come altrimenti potevano non peggiorare i nostri conti pubblici a partire dagli anni ’80? La colpa della prima repubblica non è stata la spesa sociale clientelare, il cui peso è trascurabile a fronte di queste altre voci di ben maggiore spessore, ma avere introdotto e mantenuto una legislazione fiscale di favore verso la Rendita e i ceti possidenti, che è stata rinnovata e ulteriormente aggravata bipartisan dalla seconda repubblica, senza avere il coraggio di ufficializzare il contrasto di classe sul punto, confidando (v. appresso) nella pressoché infinità capacità di assorbimento del collocamento elettronico dei bot da parte delle nostre 4 banche pubbliche.
Finchè esse rimasero pubbliche, il debito pubblico rimase infatti una partita non solo “virtuale” (v. voce “credito”), ma perfino una “partita di giro” (coincidendo il debitore, lo stato, con il creditore, le banche pubbliche), ma quando alla metà degli anni ’90 esse vennero criminalmente svendute bipartisan a un prezzo sottomultiplo dei soli bot ivi collocati elettronicamente (sic !), la voce divenne effettiva e per giunta divennero stranieri parte dei creditori! Vedi dunque anche la voce “debito pubblico” nella sezione “come funziona davvero l’economia”.