IL DEBITO PUBBLICO
Alla Massa monetaria elettronica ed allo scoperto occorre pure aggiungere la gigantesca massa dei bot “collocati elettronicamente”: abitualmente, il 90-95% del totale dei bot restano infatti invenduti nelle aste e vengono “collocati elettronicamente” presso le banche, ovvero annotati elettronicamente presso le scritture delle banche collocatarie e scambiati con Moneta creditizia elettronica che, come abbiamo visto, è anch’essa virtuale e allo scoperto. Si tratta pertanto di un debito pubblico assolutamente elettronico, virtuale e allo scoperto che diventa perfino una semplice partita di giro nel momento in cui sono pubbliche le banche collocatarie, perche finiscono per coincidere la figura del debitore (lo stato) con quella del creditore (le banche pubbliche collocatarie).
Era così infatti nella prima repubblica, prima della loro criminale svendita bipartisan praticata a prezzi decine di volte inferiori … ai soli bot ivi collocati!
La natura prettamente “virtuale” del debito pubblico è importantissima anche perché consente di estendere ulteriormente l’efficacia del deficit spending, ben oltre i suoi tradizionali limiti.
Il deficit-spending consiste nell’accendere un debito pubblico aggiuntivo (poniamo, 100) e tradurlo in una pari spesa pubblica aggiuntiva (+100) sapendo che provocherà una espansione virtuosa del PIL che è multipla (circa 5 volte 100) rispetto all’indebitamento pubblico acceso per avviare il processo moltiplicatorio. Poiché, poi, il 40% circa del PIL va in tasse, questa espansione del PIL provocherà un introito fiscale aggiuntivo pari al suo 40% circa, che consente di ripagare l’indebitamento aggiuntivo ed espandere ulteriormente il sistema.
Un po’ più in dettaglio il meccanismo è questo: poiché come abbiamo già detto altrove il 4% circa del PIL viene normalmente speso per Investimenti produttivi, mentre il 20% viene Risparmiato, ne discende aritmeticamente che l’80% restante viene Consumato. Conseguentemente, ogni volta che in un certo ciclo si finanzia una spesa pubblica aggiuntiva pari ad esempio a 100, essa induce nel ciclo successivo una Domanda aggiuntiva pari al suo 84% e dell’84% di questo 84% in quello successivo ancora, e così via sino all’esaurimento del processo moltiplicatorio (chiamato “keynesiano” dal nome di J.M. Keynes che lo scoprì nel ’32 studiando la crisi di Wall street). Dalla formula delle progressioni geometriche a ragione negativa si ricava che l’importo complessivo dell’intero processo moltiplicatorio è pari al primo termine (100) moltiplicato per l’inverso della “ragione”, ovvero per l’inverso della percentuale che viene per qualsiasi motivo sottratta al processo stesso (cioè 1/16%= 6,25), ovvero 625! Computando dal maggior Reddito (625) la quota che torna allo stato come maggiori imposte (di media, nei vari paesi sviluppati, il 40% circa di 625, ovvero 250), vediamo che lo stato può così rimborsare il prestito contratto (100) più gli interessi su questo prestito (10-20) e gli restano per giunta consistenti risorse aggiuntive per effettuare altre spese pubbliche (130-140). Tuttavia, in ogni economia totalmente “aperta” verso l’esterno perchè il suo governo, in ossequio al P.U., ha optato per il regime della “deregulation valutaria”, parte degli effetti moltiplicatori andranno necessariamente a vantaggio delle imprese estere ed è per questo che, come si sente dire spesso, nessun paese vuole “fare da locomotiva”. Solo optando per un regime di controlli valutari sulle transazioni con l’estero del tipo di quelli vigenti per tutti i paesi preunitari fino agli anni ’80 è invece possibile contingentare le Importazioni per mantenerle allo stesso livello precedente l’adozione delle ricette espansive keynesiane e rendere l’Export-Import insensibile rispetto alla crescita della Domanda interna e dell’inflazione interna. E non basta: un secondo grosso limite all’operare del moltiplicatore keynesiano è dato dalla percentuale di Domanda che non si traduce in Offerta per via della politica tariffaria praticata dai trust che, quando aumenta la Domanda, preferiscono aumentare solo parzialmente l’Offerta per spuntare listini più alti e lucrare i così detti extraproftti da oligopolio: se, ad esempio, questo “strozzo” sottrae un altro 18% al processo moltiplicatorio riducendolo dall’84% al 66%, cala infatti la Domanda complessiva che viene generata ad ogni nuovo ciclo (100 x 1/34%=300 circa anziché 625) e le imposte aggiuntive passano da 250 (40% di 625) a 120 soltanto (40% di 300), spingendo il moltiplicatore keynesiano a ridosso del suo limite di utilizzabilità! A quel punto, solo il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust potrebbero ovviare al problema, oppure … il deficit-spending praticato con Moneta creditizio-finanziaria “allo scoperto” e contrattando con gli altri paesi il pareggio tendenziale dei rispettivi Export-Import o perseguendolo con la svalutazione progressiva del cambio della Moneta nazionale!
Oggi, con un debito pubblico complessivo intorno ai € 1.800 Mld, paghiamo ogni anno interessi per circa € 80 Mld l’anno e siamo al 118% sul PIL! E se siamo in compagnia di paesi oggi molto criticati quali la Grecia (115%), non dobbiamo dimenticare che oggi non stanno meglio di noi nemmeno paesi come gli USA(84%), Inghilterra e Germania (100% circa) o Giappone (200%).
Orbene, se volessimo rimborsare il nostro debito in, poniamo, 20 anni, ci servirebbero circa € 90 Mld per la sorte capitale, cui dovremmo aggiungere almeno altri € 40 Mld annui di interessi a scalare, per un totale di ben € 130 Mld l’anno! Oggi dunque, con finanziarie da € 20-30 Mld l’anno, stiamo solo rallentando … la velocità di aumento del nostro debito, non lo stiamo né bloccando né tanto meno contraendo, per cui ci stiamo solo prendendo in giro! E dobbiamo pure considerare che, alla luce di quanto appena detto a proposito del deficit-spending, ogni volta che per operare un rimborso pratichiamo tagli della spesa pubblica o degli aggravi fiscali di pari ammontare, contraiamo corrispondentemente il mercato a disposizione delle nostre aziende, le quali saranno costrette a ridimensionare di conseguenza l’Offerta di beni e servizi, contraendo allo stesso ritmo gli Investimenti produttivi e l’Occupazione. Così operando, però, queste imprese sottrarranno altro mercato alle imprese che sul mercato interno producono beni e servizi per le imprese e per i lavoratori, ed avvieranno un processo moltiplicatorio impansivo della base produttiva, della Occupazione e del Reddito, ovvero del PIL, il cui ammontare complessivo è pari a 3-5 volte la contrazione iniziale di Domanda che abbiamo provocato con i tagli e gli aggravi fiscali, aggravando il rapporto debito/PIL anziché ridurlo. L’unico rimborso ormai “possibile” è dunque quello che potremmo e dovremmo gravare sui soli ceti possidenti, quegli stessi che privilegiamo fiscalmente da oltre 60 anni. Il loro alto Reddito rende infatti questi ceti quasi esclusivamente Risparmiatori e non Consumatori, annullando gli effetti moltiplicatori recessivi che provoca invece ogni taglio o aggravio fiscale operato sulle fasce medio-basse di Reddito. Tuttavia, poiché i mercati finanziari rappresentano solo gli umori dei detentori di Capitali e delle multinazionali finanziarizzate, non mai quelli delle imprese mercantili, ovvero quelle produttive e non-finanziarizzate, non gradirebbero affatto una simile opzione e la speculazione interna e internazionale, di fronte alle fughe di Capitali provocate da queste manovre “non gradite”, scommetterebbe agevolmente al ribasso in borsa e contro l’euro, provocando un doppio crack borsistico e valutario.
Queste sono le conseguenze inevitabili dell’altra scelta suicida operata a Maastricht in una orgia di pseudoliberismo, quella di lasciare le frontiere valutarie della UE, al pari delle sue borse, totalmente “aperte” a qualsiasi transazione mobiliare, incluse quelle esclusivamente speculative (è questa la così detta “deregulation”). Senza adeguati vincoli antispeculazione in borsa non è possibile per nessun paese contrastare la massa di speculazioni che è in grado di mettere in campo la speculazione internazionale, mentre abbandonando le barriere valutarie anti-speculazione vigenti fino agli anni ’80 abbiamo reso impossibile ogni difesa centralizzata del cambio dell’euro, costringendoci da soli ad adottare le sole scelte “gradite” ai mercati finanziari, pena il doppio crack borsistico-valutario!
Dal punto di vista storico, poi, va puntualizzato che il nostro debito pubblico non è affatto dovuto all’assistenzialismo clientelare ed alle corruttele della prima repubblica, come si lascia demagogicamente intendere per nascondere le responsabilità degli ambienti creditizio-finanziari: basta scorrere i dati del rapporto debito/PIL italiano dal ’72 all’81, ovvero quando ormai il sistema clientelare era stabilizzato da una ventina di anni, per cogliere come questo dato resta quasi invariato i questi anni, oscillando intorno al valore medio del 55%. E’ solo dall’81 che comincia a salire inesorabilmente al gradiente del 3-5% annuo, sino a raggiungere il 124% nel ’94 (oggi è, se i conti sono “veri”, intorno al 118%). Cosa accadde nel 1981? Che si decise di agganciare la lira allo SME (sistema monetario europeo) e poco dopo … di adeguare i più bassi tassi di interesse italiani ai più alti europei! Potenza della demagogia!
Ecco dunque che possiamo tirare le fila e concludere dicendo in sintesi come funziona in realtà l’economia, sia in tempi di pace che in tempi di guerra, all’insaputa di una opinione pubblica cui si racconta invece la favoletta edificante del Risparmio quale “motore” dell’economia e della “virtù finanziaria” quale criterio-guida degli stati previdenti: funziona con una Moneta creditizio-finanziaria che è “falsa”, nel momento in cui viene immessa nel circuito D-M-D per finanziare “allo scoperto” dei Consumi interni aggiuntivi pubblici e privati, e che diventa paradossalmente “vera”, man mano che vengono prodotti davvero i beni e servizi che ha così reso profittevole produrre!
Cambia tutto una volta compreso ciò. Vuol dire, infatti, che, per produrre ciò che serve per le infrastrutture pubbliche e per i Consumi pubblici e privati tipici dei dominati di una qualunque area a capitalismo maturo, al lordo della corruzione, basta circa la metà del monte-ore ordinariamente lavorate e degli Investimenti produttivi ordinariamente effettuati.
Aumentando questo monte-ore e questi Investimenti produttivi, è possibile soddisfare altri bisogni umani e potenziare la base produttiva, e ne avanza per ridurre corrispondentemente sia l’orario di lavoro che l’età pensionabile!
Ed eliminando la corruzione, questa disponibilità aumenta ancora un po’.
In una economia di mercato, però, perché sia profittevole produrre questi beni aggiuntivi non basta che ne esista il “bisogno”, ma occorre che questo bisogno, reale o fittizio che sia, si traduca in Domanda pagante. Perché un bisogno si traduca in una Domanda pagante, occorre un Reddito monetario, il quale, per la parte in cui non discende automaticamente dall’avvio del circolo virtuoso produttivo, necessita di essere finanziata dall’esterno con una Moneta aggiuntiva che venga accettata socialmente e che venga distribuita ai soggetti, pubblici e privati che siano, i quali spenderanno concretamente questa Moneta aggiuntiva, e il tutto deve avvenire in un modo che venga “accettato” socialmente, il che per la elite significa di nascosto e clientelarmente.
Poiché senza questa Moneta aggiuntiva il circolo D-M-D si inceppa e comincia a impandere al ritmo dettato dal gap di inizio-ciclo non colmato, o questa Moneta aggiuntiva viene immessa nel circolo in modo democratico, come ancora non è mai avvenuto, o viene immessa in modo non democratico, com’è avvenuto fino ad oggi o come potrebbe peggio ancora avvenire domani.
Si apre pertanto il dibattito politico non già sulla liceità della Moneta creditizio-cartolare “allo scoperto”, essendo scontato che essa è necessaria, agevole da creare ed arci-utilizzata da tempo, ma sulla sua proprietà, ovvero se debba essere privata o pubblica, e su quali e quanti Consumi debba finanziare, ovvero su cosa, quanto, come e per chi produrre!
E’ evidente che un simile dibattito vedrebbe un brutale spostamento a sinistra dell’asse politico della opinione pubblica, e, quindi, la fine di un mondo.
La elite creditizio-finanziaria oggi egemone non vuole assolutamente consentirlo ed il Pensiero Unico combatte al suo servizio al livello dello immaginario collettivo insieme alle mille altre sue alchimie e invenzioni di chirurgia sociale studiate per mantenere l’ignoranza e lo status quo.
Per avere una idea più precisa di quale programma potrebbe essere finalmente avanzato una volta rinnegato il P.U., v. adesso il programma esposto nella sezione “l’alternativa per una economia sostenibile”.
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