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EXPORT - IMPORT

 

 

Poiché il costo del lavoro incide per il 5-10% appena sui costi totali (a fronte , oltretutto, di una incidenza degli oneri finanziari che sfiora il 50% nelle imprese medio-piccole), nemmeno se i nostri lavoratori lavorassero gratis potremmo battere la concorrenza “sleale” delle multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo dove hanno costi bassissimi per la sicurezza, il welfare e le imposte. Ignorarlo è semplicemente criminale e ha una funzione esclusivamente ideologica e di copertura rispetto alla deflazione recessiva che in realtà si vuole perseguire e che così passa sotto le specie del perseguimento di una crescente competitività (oltretutto stracciona).

 

Per i paesi sviluppati, dunque, nessuna contrazione della Domanda interna così conseguita può essere compensata dal miglioramento del saldo Export-Import e contribuisce soltanto alla alimentazione della recessione internazionale.

 

Lo stesso discorso va fatto per le delocalizzazioni, in quanto la perdita del monte salari e dell’indotto provocato, poniamo, a Detroit dallo smantellamento in loco del comparto auto per la sua delocalizzazione in oriente, comporta una contrazione della Domanda internazionale che è un sottomultiplo della Domanda internazionale che si crea in oriente per effetto della delocalizzazione, risolvendosi in una perdita secca per il pianeta. Si aggiunga che lo sfruttamento umano ed ecologico che viene praticato nelle regioni in cui si delocalizza è estremamente maggiore di quello che si praticava nelle zone che hanno subito la delocalizzazione e basta una qualsiasi immagine dal satellite per darne la dimensione ottica immediata. Il P.U. utilizza a giustificazione due argomenti capziosi e infondati: 1)che si realizza così un opera umanitaria in quanto vengono a soffrire aree “ricche” e si allevia la sofferenza in quelle “povere”; 2)che il processo di globalizzazione è inarrestabile e insieme provvido per il pianeta nel suo complesso. La falsità e la capziosità di simili ipocrite affermazioni risiedono nella circostanza che esistono validissime alternative alle delocalizzazioni selvagge al sud per la riesportazione al nord dell’Offerta così prodotta e che non esiste una sola globalizzazione, quella che piace ai trust e che vuole portare i livelli di civiltà del nord ai più bassi livelli del sud. Esiste infatti anche una globalizzazione che opera all’incontrario, ovvero spingendo verso l’alto al sud i livelli di civiltà ivi presenti, facendo trainare lo sviluppo da una Domanda locale per Consumi popolari pubblici e privati ivi finanziata (v. appresso) con la Moneta “virtuale” del nord e tenendo conto delle situazioni e degli equilibri locali onde conseguire uno sviluppo armonioso e rispettoso delle resistenze tradizionali indigene.

 

Va infine tenuto conto anche delle potenzialità belliche di una impostazione per cui è solo Esportando a danno delle economie terze che si può espandere la propria economia. Come vedremo meglio nella sezione dedicata alla Moneta e al debito pubblico, è possibile e insieme doveroso fondare la espansione interna ad ogni paese sulla promozione della sua Domanda per Consumi popolari pubblici e privati finanziata con la Moneta “virtuale”, previa la sua sottrazione al controllo della elite creditizio-finanziaria che comanda il mondo e la sua sottoposizione al controllo democratico.

 

Una volta compreso che il commercio internazionale va impostato sul pareggio tendenziale dei rispettivi Export-Import, si comprende anche la necessità di una nuova Bretton Woods, per la cui analisi si rimanda alle voci “Moneta”, “Credito” e “Borsa”.